Mercoledì 2 novembre 2016 - 132° giorno di viaggio
Ormos Agali, Tinos - Ormos Abela, Syros (32 Km di cui 24 in traversata)
Vento N 10-11 nodi (F3) in attenuazione - Mare quasi calmo - Temperatura 18°C
Durante la notte fa talmente freddo che indossiamo tutto quel che abbiamo portato in viaggio.
Al mattino, invece, splende il sole: prima ancora di fare colazione dedichiamo una buona mezz'ora al cosiddetto "assorbimento ultravioletti", un silenzioso esercizio di ringraziamento al sole imparato durante il nostro primo viaggio invernale in Sardegna.
Quando arriva l'ora di vestirsi per salire in kayak, Mauro ed io ci rendiamo conto che siamo molto diversi: lui in calzoncini corti e sandaletti aperti, io con la muta semi-stagna ed i calzettoni di pile. Tutti e due, comunque, infiliamo la giacca d'acqua, ma per il momento quella a maniche corte. Speriamo che il cielo rimanga limpido e terso e che la temperatura dei primi giorni di novembre non diventi troppo rigida.
Il sole ci accompagna non solo durante la traversata ma anche per l'intera giornata.
Perché oggi riusciamo finalmente a traversare sull'isola di Syros!
Erano giorni che speravamo di poter passare da Tinos a Syros, ma avevamo dovuto rimandare per la presenza ancora troppo ingombrante del Meltemi. E le condizioni, stamattina, non potevano essere migliori: il cielo terso, il sole caldo, il mare calmo. Calmo come oggi era tanto tempo che non lo vedevamo, appena increspato da una leggera brezza da nord che ci spinge decisi nel canale tra le due isole. Dobbiamo correggere la rotta di circa 15 gradi bussola, ma filiamo alla velocità di crociera di 3 nodi ed impieghiamo 4 ore per coprire i 24 chilometri di traversata.
Nel corso della prima ora il mare è ancora un po' ondulato, ma poi si spiana e diventa di mercurio. La brezza tesa annunciata da nord entra in perfetto orario e ci spinge al giardinetto per quasi tutta la traversata. E' un vero piacere navigare col mare alle spalle, sembra quasi di non fare nessuna fatica, di avanzare "gratis".
I traghetti incrociano lontani perché noi scegliamo di seguire una rotta parallela ma spostata di circa un miglio più a sud, così da non interferire con le loro manovre di ingresso e di uscita dai porti. Incontriamo solo alcune barche da diporto che sono ferme a pescare in alto mare.
E' un grande regalo, quello che ci viene fatto oggi: avevamo una grande nostalgia del sole. Sentiamo i suoi raggi che ci scaldano il viso e le mani: più il disco di fuoco si alza in cielo e più si accentua il suo effetto rigenerante. Erano settimane, ormai, che speravamo di tornare a godere del tepore del sole autunnale!
L'avvicinamento all'ultima isola del nostro lungo viaggio intorno alle Cicladi è così placido e tranquillo che per lunghi momenti posso dedicarmi ad un'attività insolita: scrutare il blu avvolgente del mare, coi raggi del sole che penetrano in profondità e diventano fasci dorati che convergono tutti nello stesso punto, come tanti aghi infilati su un puntaspilli. Durante le ultime traversate, nel trambusto del mare mosso, non è stato mai possibile ammirare uno spettacolo così particolare e rilassante. Nel silenzio che adesso regna attorno ai nostri kayak quelle fasce dorate sembrano donare una certa vitalità alla tavola blu del mare.
Nonostante la foschia, si stagliano all'orizzonte molte isole, come se volessero farsi notare per mandarci un ultimo saluto: alle nostre spalle si allontanano
Tinos ed
Andros, da un lato si scorgono in lontananza Gyaros e
Kea, dall'altro
Mikonos,
Delos e Rinia, dopo poco appaiono anche
Naxos,
Paros ed
Antiparos, e poi persino
Sifnos e
Kithnos, le prime isole visitate. Mentre ci guardiamo intorno per riconoscere qualche altra isola, un delfino si avvicina ai nostri kayak, giusto il tempo di mostrare la pinna caudale un paio di volte e di scomparire in mare, lasciandoci a perlustrare ancora a lungo quell'immensa distesa d'acqua argentata.
Poi si avvicina il porto di Ermoupoli, la città più grande di Syros e di tutte le Cicladi.
Sappiamo, per averlo letto tra gli appunti presi dalle guide turistiche, che è Patrimonio dell'Unesco e non vediamo l'ora di visitarla. Per il momento, però, non sbarchiamo in città: preferiamo costeggiare il primo tratto meridionale dell'isola per poter sfruttare meglio il vento annunciato da sud in arrivo da domani.
Non appena doppiamo il primo capo di sud-est, affacciato su una serie di scogli disseminati alla rinfusa sui bassi fondali, scendiamo per fare una breve sosta. Il sole continua a splendere alto nel cielo e ci invita a spogliarci per continuare con l'esercizio di "assorbimento ultravioletti".
Riprendiamo la navigazione quasi subito e pagaiamo per un'altra ora abbondante.
Sbarchiamo che il sole s'è appena nascosto dietro il promontorio: la cala è in ombra e l'acqua, benché di un paio di gradi più calda dell'aria, ci sembra ormai fredda. Scendere dal kayak e bagnarsi i piedi non è più così piacevole: asciugarsi, cambiarsi e coprirsi diventano operazioni prioritarie e rapidissime. Anche montare la tenda e cenare, a dire il vero: alle sei di sera, quando ormai è già buio, siamo pronti a divorare l'abbondante razione di pastina al sugo preparata da Mauro sotto la tettoia di una casa-vacanza chiusa da tempo, mentre i grilli intonano un lungo concerto fuori stagione. Un gatto maculato viene a farci visita ma resta a bocca asciutta: abbiamo già spazzolato tutto.
Ci infiliamo nei sacchi a pelo ancora una volta imbacuccati come due salsicciotti: speriamo di riuscire a combattere meglio il freddo che anche stanotte si preannuncia pungente.
Non sono ancora suonate le otto di sera quando ci auguriamo la buona notte: ci attendono le nostre "solite" dieci ore di sonno.
|
In traversata da Tinos a Syros |
|
Verso l'isola di Syros |
|
Prima sosta su Syros |
|
Lungo la costa occidentale di Syros |
|
Uno degli speroni rocciosi della costa frastagliata di Syros |
|
La bella baia di Varvaroussa sulla costa nord-occidentale di Syros |
Giovedì 3 novembre 2016 - 133° giorno di viaggio
Ormos Abela - Ormos Aspro Boundi, Syros (30 Km)
Vento S 14-17 nodi (F4-5) - Mare poco mosso - Temperatura 20°C
Puntiamo la sveglia alle 6.30. E puntualmente la ignoriamo!
Ormai albeggia alle sei ma uscire dalla tenda prima delle sette è una piccola sfida: fuori fa freddo, ogni giorno di più. Allora tergiversiamo all'interno del nostro piccolo nido, facendo quante più cose possibili restando accoccolati al caldo. Ci decidiamo ad uscire solo quando il sole si impone sulle nuvole che stamattina corrono alte in cielo: ormai lo sappiamo, quando spirano venti da sud, arrivano umidità, nuvole e pioggia. Ma anche temperature miti. Per il momento sembra che il tempo regga, speriamo continui così anche per i prossimi giorni.
Smontiamo il campo in pochi minuti, tanto per lasciare in fretta la casa-vacanza, ma poi tardiamo a riprendere il mare: ci godiamo il sole del mattino, stupiti di essere ancora a piedi nudi ai primi di novembre.
Una volta in kayak, veniamo un po' frenati dal venticello che già di buon mattino è entrato da sud e che ci ostacola fino al faro del capo sud-ovest di Syros. Da lì in avanti, invece, ci favorisce e pagaiamo lungo tutto la costa occidentale dell'isola col vento al giardinetto: un'altra giornata regalata, vento favorevole e sole caldo!
Syros è un'isola piccola dalla costa frastagliata. Brulla e spoglia come le altre isole sorelle, è una delle più popolate perché ospita il capoluogo di tutte le Cicladi, la città più grande dell'arcipelago, centro amministrativo e giudiziario, oltre che principale porto dell'isola. Ad Ermoupoli arriveremo domani, se oggi riusciremo a rispettare il programma che ci siamo prefissati: doppiare il faro del capo nord-ovest e fare campo su una delle calette aperte nella costa settentrionale, così da dover pagaiare solo un'altra decina di chilometri per raggiungere la città.
Intanto, per la prima parte della giornata, il vento spinge che è una bellezza: superiamo così velocemente le prime baie antropizzate che quasi non ce ne rendiamo conto. Nel primo golfo, quello della cittadina dal nome bellissimo, Posidonia, c'è persino un porto militare, ma è talmente ben nascosto dietro il pronunciato promontorio d'ingresso, con due gobbe come un cammello, che dal mare proprio non lo riconosciamo. Passiamo in fretta anche il secondo golfo, quello con la chiesetta bianca che se ne sta bellamente appollaiata su un piccolo cucuzzolo davanti al paesino di villeggiatura che occupa il resto della cala. E' poi la volta del terzo golfo, il più ampio di tutti ma con una piccola baia che ospita il bel paesino di Kini, che in questa stagione sembra ormai vuoto ed abbandonato.
Di tutte le isole che ieri occupavano l'orizzonte all'intorno di Syros, oggi ne è rimasta una soltanto, Gyaros. La foschia è spessa durante tutta la giornata ma non riesce a nasconderla alla vista e sembra talmente vicina che per qualche minuto siamo tentati di raggiungerla: ma vogliamo prima completare il periplo di Syros.
Scegliamo di fare una sosta nella bella baia di Varvaroussa, protetta da un'isoletta che porta lo stesso nome e delimitata da un muretto a secco che sembra costruito da un principiante, oppure troppo in fretta, per come sono sconnesse le pietre accatastate lungo il suo percorso. Sgranocchiamo un pezzetto di pane secco di Creta, che è ormai diventato l'alimento principale della nostra dieta, facciamo quattro chiacchiere al riparo dal vento, nascosti dietro quello stesso muretto malmesso, e poi indossiamo i cappelli di pile per affrontare il resto del pomeriggio.
Questo tratto della costa di Syros è molto bello: il nord è quasi completamente disabitato, non ci sono né muretti né terrazzamenti e neanche alberi o macchia. Sembra un'isola ricoperta di crema e cioccolato, con le scogliere strapiombanti e dorate e le colline morbide e spoglie. E' un paesaggio molto diverso da quello a cui ci hanno abituato le altre isole Cicladi e cerchiamo di riempirci gli occhi di questi bei declivi lasciati (per ora!) allo stato naturale.
Dopo il piccolo promontorio del faro di nord-ovest, che sembra quasi un isolino ma che invece è collegato all'isola madre da un istmo di grossi massi levigati dall'acqua, ci mettiamo alla ricerca della nostra cala per la notte, che non tardiamo a scovare in una delle prime rientranze della costa settentrionale di Syros.
Veniamo distratti dall'arrivo di un traghetto, che passa molto vicino alla costa e che riconosciamo come quello su cui ho spedito il mio pacco di "preziosi ritrovamenti" da Tinos ad Atene. Anche sulla "nostra" spiaggia, che come tutte quelle aperte a nord è sporca delle sporcizie gettate dagli uomini e rigettate dal mare, troviamo una bella serie di "tesori" per le mie collezioni, da galleggianti a conchiglie, da ricci a formine colorate. E' sempre un bella prova di ottimismo, scovare la bellezza tra tante brutture: ci sono ammassi di plastiche scolorite, grovigli di lenze e cime, cumuli di legna e bottiglie. Ma ci sono anche piccoli e curiosi regali del mare, tappi di sughero e manici di pennelli e rapala slamati, belli per chi li sa scovare ed apprezzare
o che belli diventano dopo un piccolo intervento di fantasia.
Mentre scatto una serie di foto ricordo, Mauro si impegna in un'opera titanica: spianare un piccolo appezzamento di terreno sconnesso ed incassato tra gli arbusti rinsecchiti, per riuscire ad "edificare", come lui ama dire da tempo. Dobbiamo sincerarci di fissare bene la nostra povera tendina: durante la notte sono previsti venti in aumento e anche scrosci di pioggia.
Per il momento una stellata stupenda risplende nel cielo nero come la pece e le Pleiadi sono così vicine e belle da sembrare un grappolo di lucine natalizie. Non possiamo attardarci a guardarle perché il freddo e l'umidità della sera ci costringono presto a rintanarci nella nostra piccola casetta mobile...
|
Il piccolo ma vero faro del capo nord di Syros |
|
Programmiamo le tappe dei giorni successivi in ragione delle previsioni meteo-marine |
|
Il campo sotto il temporale nella cala di Aspro Boundi a Syros |
|
Pagaiando verso sud lungo il versante orientale di Syros |
|
Le scogliere ricamate di Syros |
|
Il fronte nuvoloso che avanza verso Tinos mentre noi raggiungiamo Ermoupoli |
Venerdì 4 novembre 2016 - 134° giorno di viaggio
Ormos Aspro Boundi - Ermoupoli, Syros (13 Km)
Vento SW 9-13 nodi (F3-4) in attenuazione dalle ore 12,00 - Mare calmo - Temperatura 20°C
Il vento spazza l'isola da sud-ovest e si incanala nella gola alle spalle della nostra tendina con raffiche ripetute e possenti. Il vento in quota, invece, spira da nord-est, la direzione esattamente contraria, e sposta su di noi il temporale che poco prima imperversava sulle isole di Andros e Tinos. Siamo costretti a fare colazione in tenda e anche ad indossare giacca e muta semi-stagna prima di smontare il campo: che con l'umidità di questi giorni significa fare una sauna completa di primo mattino! Però con la pioggia arriva prima un intenso odore di santoreggia e poi anche un arcobaleno talmente ampio da abbracciare tutta l'isola: restiamo coi nasi all'insù per qualche lungo minuto, finché le gocce d'acqua non ci rigano il viso. Col cielo grigio che si colora di tutti i colori anche l'umore cambia colore.
Un nutrito branco di capre dal lungo pelo fulvo e corvino si affaccia timoroso nella baia ma aspetta diligente la nostra partenza prima di scendere a leccare il sale sugli scogli. Il capo branco si ferma impettito e ci fissa a lungo, con quello sguardo tipico delle capre che sembrano chiedersi "cosa faranno mai quegli strani bipedi senza peli intorno a quei kayak?".
Mentre costeggiamo Syros vediamo un nuovo fronte nuvoloso che, stavolta dalla giusta direzione, si dirige minaccioso su Tinos: la pioggia laggiù all'orizzonte scende copiosa, come una cortina fuligginosa che si chiude sul mare color delle cenere. Dopo poco si forma anche una tromba d'aria e quel cono scuro si staglia sulle nuvole biancastre con preoccupante velocità, dirigendosi verso la città che noi abbiamo lasciato appena due giorni fa.
Raggiungiamo Ermoupoli quando un sole timido si affaccia sul porto.
Proviamo a cercare un punto di sbarco nei pressi dei bagni pubblici, sotto una delle chiese più imponenti e colorate della città, ma ci sono soltanto una serie di scalinate ricoperte di alghe. Ci portiamo allora lungo la diga foranea, controlliamo che non ci siano traghetti in manovra ed attraversiamo di gran carriera la bocca di porto: oltre una banchina di cemento per l'attracco delle navi-carburanti si nasconde il porticciolo turistico, caratterizzato da un intricato sistema di moli e moletti tra i quali fatichiamo a scovare lo scivolo di alaggio, che deve pur essere da qualche parte data la folta presenza di carrelli disseminati lungo tutto il perimetro esterno.
Scendiamo a terra con l'intenzione di visitare il centro, di fare spesa e di cenare in taverna.
Ermoupoli è una città davvero particolare, costruita sulle due colline retrostanti il porto. I due villaggi gemelli riflettono la storia dell'isola: l'antica Syros, passata nel tempo prima sotto la dominazione veneziana e poi sotto quella genovese, ha abbracciato il cattolicesimo ed i suoi abitanti sono ancor oggi prevalentemente cristiani; i rifugiati proveniente da Chios, durante la guerra di indipendenza greca dall'impero ottomano del 1821, fondarono invece la nuova Ermoupoli (in onore di Ermes dio del commercio), che divenne presto la roccaforte dei greci ortodossi. C'è ora anche un nuovissimo quartiere, chiamato non a caso Neapoli e sorto sul lungo mare tra il centro storico e l'aeroporto, separato dalla cittadina arroccata sul colle da ben quattrocento scalini, secondo la guida, ma che in realtà devono essere ben più numerosi, a giudicare dalla varie scalinate che si inerpicano sulla vetta tra le palazzine neoclassiche e moderne dalle tenui tinte pastello. Il capoluogo delle Cicladi è un costruttivo ed istruttivo esempio di convivenza pacifica tra religioni e religiosi, tanto più apprezzabile ora che viviamo in un medioevo di ritorno fatto di guerre, muri di confine e fondamentalismi vari. In città si respira un'aria al tempo stesso cosmopolita e tradizionale, coi grandi palazzi pubblici e con le piazze lastricate di marmo accanto ai vicoletti sinuosi e alle porte dipinte di blu. Solo non ci capacitiamo di come una città diventata Patrimonio dell'umanità possa sfoggiare, accanto alle sue bellezze storiche ed architettoniche, anche le brutture moderne (e forse irrinunciabili) delle ciminiere bianche e rosse della vicina centrale termoelettrica e dei bacini di carenaggio degli ancor più vicini cantieri navali: le prime emettono fumi neri e rumori assordanti ed i secondi producono cascate di scintille dalle fiamme ossidriche che lavorano fino a notte fonda sui ponti dei vecchi traghetti (e che al buoi assumono un certo innegabile fascino).
Noi passeggiamo in lungo ed in largo, sia nella città vecchia che in quella nuova, finchè non sopraggiunge l'ora di cena, quando adocchiamo una taverna sul porto che sembra proprio fare al caso nostro, piena com'è di vecchietti del posto: i tavoli della veranda sul retro sono apparecchiati giusto sotto lo scafo di un enorme catamarano, uno dei tanti tirati in secca nella vicina zona di rimessaggio, così attaccato alla taverna che dall'alto dei suoi supporti incombe sulla nostra cena e così intrigante nella vista dei suoi scafi gemelli che ci fa pensare ai nostri amici svizzeri (che hanno lasciato il loro catamarano ad Atene e che da qualche settimana sono tornati a casa). La cena è squisita e la notte lunga e travagliata, perché la pioggia cade a più riprese proprio ora che montiamo la tenda sul retro della rimessa del porticciolo e non abbiamo modo di fissare piedi e tiranti: si bagna tutto, telo esterno, interno, materassini, sacchi a pelo e persino il diario di viaggio.
|
Il temporale che ci aspetta ad Ermoupoli |
|
I bagni pubblici di Ermoupoli |
|
Lo scivolo di alaggio del porticciolo turistico di Ermoupoli |
|
La visita al centro storico di Ermoupoli |
|
Il ritorno ai kayak dopo la spesa e prima di cena |
|
La taverna del porto di Ermoupoli attigua alla zona di rimessaggio di barche e catamarani |
Sabato 5 novembre 2016 - 135° giorno di viaggio
Ermoupoli, Syros - Baietta del carcere, Gyaros (32 km di cui 22 in traversata)
Vento S-SE 4-5 nodi (F2) in attenuazione dalle ore 12,00 - Mare calmo - Temperatura 19°C
La giornata è perfetta per una lunga traversata.
Il grigiume del mattino non ci scoraggia, anche se ogni nuvoletta che passa sulla città fa cadere delle gocce gelate, come a dire che è arrivata e che non vuole passare inosservata. L'odore che sale dalla città è ben diverso da quello della campagna, perché adesso non aleggia più il piacevole aroma della santoreggia ma quello ben più pungente del guano di gabbiano: è la perfetta esemplificazione della differenza che corre tra il campeggio nautico cittadino e quello "rupestre".
Tra una doccia e l'altra abbiamo modo di fare colazione sullo scivolo di alaggio del porticciolo turistico e ad un certo punto ci ritroviamo in costume da bagno, perché il vento ha spazzato via le ultime nuvole ed il sole inizia a splendere in cielo e diventa talmente caldo che ci costringe a spogliarci (prima di rivestirci di tutto punto per salire in kayak, visto che la brezza increspa il mare e preannuncia una navigazione fresca e "bagnata").
Sono molti i pescatori del fine settimana che escono con i gommoni e che a turno occupano lo scivolo, ma nessuno sembra far troppo caso a noi, anche se abbiamo colonizzato la zona per qualche ora: su ogni altra cosa pare prevalga la comprensione e la solidarietà ed una volta che anche noi siamo in mare ed incrociamo quelle ed altre barche è tutto uno scambio di saluti e di sorrisi.
Uscendo dal porto ci ricordiamo di fare ciao ciao con la manina al faro che si staglia dalla sommità del promontorio più a sud, quello dove eravamo arrivati al termine della traversata da Tinos: chiudiamo così idealmente il periplo dell'isola di Syros e ci apprestiamo a risalire tutta la costa settentrionale per poter affrontare la nuova traversata su Gyaros.
Prima però ci concediamo una breve sosta per una seconda colazione a base di pane e cioccolata.
Quando poi superiamo il capo settentrionale di Syros, sormontato da un faro vero, in muratura e tinteggiato di bianco, ma così piccolo da sembrare uno dei tanti nano-fari delle Cicladi, ci guardiamo intorno e non vediamo niente: la foschia nasconde tutte le isole che l'altro giorno si affacciavano in mare per mandarci un ultimo saluto. Oggi sappiamo che sono sempre là solo perché su ognuna galleggia una bella nuvoletta bianca e paffuta, un segnale chiaro per la navigazione in alto mare.
Anche Gyaros ha la sua nuvola d'ordinanza, che ad un certo punto di divide in due piccole nuvolette, una più grande sulla cima più alta, ed una più piccola sull'isoletta più piccola, quella Glaronissi satellite che già scorgiamo in lontananza.
Gyaros è un'isola disabitata dove probabilmente non avremo alcuna connessione internet: approfittiamo allora del ripetitore che si staglia sulle ultime propaggini montuose di Syros per controllare le previsione meteo-marine e sincerarci così di poter affrontare anche la più lunga ed impegnativa traversata da Gyaros a Kea, perché non vogliamo in nessun modo rimanere bloccati proprio sull'ultima isola del nostro lungo viaggio intorno alle Cicladi. Per due motivi, diversi ma ugualmente importanti: il primo è legato alle condizioni meteorologiche, visto che il maltempo sembra incalzarci nuovamente e forse dobbiamo rinunciare al periplo di Gyaros perché la finestra di bel tempo sembra volersi chiudere in fretta; il secondo è invece legato alla storia nefasta dell'isola, utilizzata durante la dittatura militare come luogo di confino per gli oppositori politici. Ne avevamo parlato anche con il proprietario del negozio di nautica vicino al porticciolo turistico di Ermoupoli: quasi per timore di citare i colonnelli, aveva parlato di epoca oscura, "our dark age", sapendo che anche noi italiani abbiamo vissuto un'epoca analoga anche se più breve. Sull'isola aleggia ancora il ricordo di un passato che tutti ricordano e al tempo stesso cercano di dimenticare: noi ci chiediamo come un luogo tanto bello sia potuto diventare un luogo di pene e di sofferenze, ma forse, come per l'isola di Makronissos, questo era uno degli obiettivi non espressi del regime, trasformare oasi di pace in posti di torture, così da rendere ancora più netto e lacerante il divario.
Ce ne rendiamo conto appena sbarchiamo sull'isola.
E anche prima, mentre l'isola ci viene incontro, durante una traversata che più tranquilla e serena non poteva essere, quasi al punto da sfiorare la noia: non dobbiamo fare alcuna correzione, non dobbiamo pensare alle onde o al vento, non dobbiamo preoccuparci del mare, che resta una immota tavola blu per tutto il tempo del nostro avvicinamento. Pagaiamo senza sforzo a 6-7 chilometri orari, come mai ci era successo prima in una delle oltre 40 traversate tra le Isole Cicladi. Il sole oggi è talmente caldo che ci costringe a continue abluzioni: e anche questa cosa non ci è mai capitata, di dover bagnare le giacche d'acqua a maniche lunghe invece delle nostre braccia nude. Ma ormai non ci stupiamo più di niente, in questa stagione autunnale che qui in Grecia ha poco di ordinario e che sembra volerci riservare ogni giorno qualche novità.
Gyaros è un'isola rocciosa e brulla con pochissimi punti di sbarco: ci sono appena tre cale sul versante orientale e Mauro ha scovato, utilizzando Google Earth, soltanto altre due o tre spiagge adatte per una breve sosta ma non certo per un campo notturno. Noi procediamo spediti verso la baietta del carcere, quella che si apre sul lato sud dell'immensa costruzione in mattoni rossi, punto cospicuo già da grande distanza: quella più ampia che si apre sul lato nord non ha spazi adatti per montare la tenda, né piante che possano proteggere il nostro sonno dagli assalti del vento (dato in leggero aumento già da questa sera!). La "nostra" spiaggia, invece, offre una serie di vantaggi: sabbia mista a ciottoli, spazi ampi davanti ad un boschetto di cipressi e un comodo sentiero per raggiungere il carcere. Ci sono molti cartelli rossi con delle scritte ormai sbiadite che a malapena si riescono a leggere e che parlano di "suspect area": dall'altro lato, davanti all'imbarcadero, campeggia invece un nuovo cartellone che spiega come l'isola sia diventata da pochi anni una riserva integrata per la protezione della foca monaca (che però in questa stagione si guarda bene dal comparire in zona!)
Cerchiamo di essere il più discreti e silenziosi possibile: questo luogo incute un certo timore e trasmette una certa tristezza. Al nostro sbarco una coppia di lepri selvatiche scappa su per la collinetta e mentre ci accingiamo a stendere l'attrezzatura un gregge di capre si avvicina curioso. Non abbiamo fatto tardi ma abbiamo talmente tante cose da fare (compresa la programmazione della rotta per domani, la riparazione della mia borraccia da spalla e la bonifica del nostro "lotto edificabile" dalle corna di caprone (mai trovate così tante corna come su questa cala!), che ben presto ci avvolge l'oscurità e a noi non viene voglia di cucinare altro se non i veloci noodles cinesi.
Il cielo è stranamente libero da nuvole e foschia ed insieme alla mezza luna splendono tante altre costellazioni che non siamo soliti vedere in estate e che rendono la serata meno scura, nonostante l'incombente presenza del carcere dell'età oscura...
|
La colazione sullo scivolo di alaggio del porticciolo di Ermoupoli |
|
Uscendo dal porto di Ermoupoli: il colle al sole è la parte cristiana, quello in ombra la parte ortodossa |
|
Appena fuori dal porto di Ermoupoli |
|
L'ultima cala visitata sulla costa orientale di Syros |
|
La sbarco prima della traversata tra Syros e Gyaros |
|
In traversata verso Gyaros |
Domenica 6 novembre 2016 - 136° giorno di viaggio
Baietta del carcere, Gyaros - Ormos Spathi, Kea (35 km di traversata)
Vento SW 10-15 nodi (F3-4) - Mare da calmo a mosso - Temperatura 19°C
Come immaginavamo, non possiamo permetterci di completare il periplo di Gyaros.
Abbiamo controllato ancora una volta le previsioni meteorologiche, sia ieri sera che questa mattina: contro ogni aspettativa, sull'isola c'è una buona connessione internet che sembra arrivare da Tinos e che ci offre l'occasione insperata di confrontare i dati già raccolti nei giorni passati. Gyaros contraddice, unica tra le Isole Cicladi, la legge delle tre costanti universali: non solo c'è campo, ma i capelli sembrano stare finalmente al loro posto (forse perché troppo carichi di salsedine!) e di macchie stavolta non se ne parla!
Oggi però sembra essere l'ultima giornata di tempo discreto: da domani il vento da sud rinforza oltre i 20 nodi e non ci concede alcuna sosta sull'isola del confino politico. Poco male: come era già successo per Makronissos, l'altra isola utilizzata dal regime dei colonnelli per deportare gli oppositori politici, non ci sentiamo molto a nostro agio su queste belle isole che oggi sono disabitate ma che in passato hanno ospitato luoghi di detenzione. Come ci aveva detto Stavros, il nostro amico di Atene che si è preso cura della Mauromobile per tutti questi mesi, viene la pelle d'oca solo a parlarne, figurarsi a pernottarci sopra o pagaiarci attorno.
Meglio andare, anche se il vento cresce.
Oggi le previsioni sono chiarissime: alle nove del mattino il vento da sud è di appena 6-8 nodi (Forza 3), a mezzogiorno rinforza a 8-10 nodi (sempre Forza 3), alle tre del pomeriggio sale ancora a 10-13 nodi (Forza 4) e alle sei di sera cresce oltre i 13-17 nodi (Forza 4-5). Anche durante la notte è dato in aumento, con raffiche a più di 22 nodi (Forza 6). Non solo dobbiamo sbrigarci a traversare sull'isola di Kea, ma dobbiamo anche trovarci una cala ben ridossata, altrimenti la nostra povera tendina potrebbe non superare la nottata.
Dopo una breve visita al carcere, che ci trasmette tutta l'angoscia della "dark age" greca, ci prepariamo ad affrontare la traversata più lunga di tutto il viaggio: 35 chilometri.
I primi dieci chilometri sono quelli che costeggiano il versante meridionale di Gyaros.
Abbiamo volutamente scelto di passare a sud, anche se il versante nord sarebbe stato indubbiamente più riparato, benché alquanto più lungo, e ci avrebbe offerto una navigazione sicuramente più tranquilla, perché volevamo testare sin da subito lo stato del mare: per due ore filate ci ritroviamo in una bella lavatrice corposa, con tanto di picchi e frangenti e spruzzi, perché le onde sospinte dal vento contro la scogliera rocciosa di Gyaros tornano in mare aperto con una forza che in alcuni tratti sembra addirittura maggiorata. Però in quell'allegro trambusto capiamo di poter gestire i Voyager e di poter affrontare il resto della traversata.
Una volta lasciata alla spalle l'ultima propaggine dell'isola, Mauro esclama la sua solita frase: "Sembra fattibile, andiamo". E così andiamo.
Andiamo per sette ore.
Andiamo su e giù in mare aperto in una delle traversate per noi più lunghe di sempre, dopo quella di dieci ore
da Stromboli a Tropea nel lontano 2009 e quella più recente di otto ore da
Skiaros all'Eubea nel 2013.
Stavolta ci viene da pensare che forse non abbiamo più l'età per certe scorribande.
Stavolta la fatica si fa sentire e ci fa sbarcare con tutti i muscoletti doloranti.
Stavolta partiamo presto ed arriviamo tardi, rallentati dal mare, dal vento e dalla corrente.
Non è la solita traversata a cinque chilometri orari, non è la solita navigazione in mare aperto, non è la solita cavalcata tra acqua che sale e acqua che scende. Non sembra neanche il solito mare, questo nel canale tra Gyaros e Kea: nella prima parte ci troviamo a correggere la rotta di oltre 20 gradi bussola, poi incrociamo una corrente da nord che annulla l'effetto del vento da sud ma che al tempo stesso fa ingrossare le onde; ad un certo punto, poi, ci ritroviamo a pagaiare controvento, per un tempo che pare infinito, e proprio mentre il vento contro cui stiamo pagaiando rinforza fino a diventare una barriera quasi insormontabile.
Le ultime due ore di navigazione sono le più difficili.
Per esperienza so che la penultima ora di ogni traversata è per me la più pesante da sostenere (più psicologicamente che non fisicamente) e così mi preparo mentalmente ad occupare il tempo con qualche gioco di fantasia, qualche chiacchierata rubata all'Uomo di Ferro o qualche altro trucco che ho imparato nel corso degli anni (tipo contare le pagaiate oppure la frequenza della passate, scoprendo come è successo appena ieri, nella traversata monotona fino alla noia tra Syros e Gyaros, che Mauro ha una frequenza doppia rispetto alla mia, tipo 80 colpi suoi contro 40 miei in un minuto!). Oggi mi ritrovo nella penultima e penosa ora a non sapere più che pesci prendere: non posso pensare ad altro se non alle onde che aggrediscono il mio kayak, a quelle collinette d'acqua che nascondono il Voyager di Mauro (e pure tutto Mauro!) e a quei simpatici frangenti che spesso mi costringono ad appoggi contrari (ma dico io, non s'è mai visto di dover appoggiare sotto l'onda, in mare, eppure...). Oggi non mi posso permettere il lusso di fantasticare, di perdermi dietro ai miei pensieri sconclusionati, di lasciarmi guidare dal kayak. Oggi è la giornata della prova definitiva: o la superiamo o la superiamo! Insieme, per fortuna, Mauro ed io.
E insieme affrontiamo anche un'altra prova: la rotta di collisione con una nave porta-container.
Un'esperienza nuova, mai fatta prima, in nessuna delle precedenti quaranta traversate tra le Cicladi: oggi ci tocca pure questa. E ancor prima che si alzi il vento, così da toglierci buona parte delle energie che avevamo accumulato prima di affrontare la traversata.
Alle 13.00 esatte, non appena superata la costa di Gyaros e poco dopo aver preso confidenza con le onde irregolari e nervose del mare aperto, intravediamo all'orizzonte quello che crediamo essere un traghetto.
Alle 13.10 capiamo che quel biancore che scorgiamo tra il biancore delle onde non è la prua di un traghetto di linea ma il castello di poppa di una porta-container vuota.
Alle 13.35, dopo averla controllata a lungo, capiamo di essere esattamente sulla sua rotta: ci fermiamo ed aspettiamo che passi.
Alle 13.36 cambiamo direzione, virando di 90 gradi, così da rendere evidente che abbiamo capito che dobbiamo toglierci di torno.
Alle 13.37 ci fermiamo ancora una volta: la nave bianca ha cambiato rotta!
Alle 13.40, dopo tre minuti di puro terrore, iniziamo a pagaiare come dei forsennati.
Alle 13.42 siamo ancora in rotta di collisione: il brutto muso di quel mostro ed i cinque piani di quel castello sono esattamente al traverso, vicini più di quanto non avremmo mai voluto.
Alle 13.43 aumentiamo la frequenza (e con lei aumentano i battiti cardiaci!)
Alle 13.45, quando ormai siamo convinti di essere spacciati, la nave vira. E ci passa a poppa.
Alle 13.50 siamo ancora lì che tiriamo fiato, contenti di essere salvi.
Alle 13.55 avvistiamo una seconda porta-container: e ricomincia il batticuore!
Ne incrociamo sette, di porta-container, durante la traversata: una ci passa a poppa, molto più distante della prima, due incrociano vicino all'isola di Kea ben prima che noi la raggiungiamo, due vanno chiaramente verso altre direzioni e l'ultima arriva con tutte le luci accese quando ormai siamo prossimi a toccare terra. Nessuna della altre sei navi ci impegna e spaventa quanto la prima.
Il mare, nel frattempo, passa da uno stato 3 ad uno stato 5, rimanendo per la maggior parte del tempo su un impegnativo stato 4, perché le onde non arrivano mai soltanto al traverso, come dovrebbe essere in ragione della direzione del vento, ma per qualche oscuro motivo arrivano anche al mascone e al giardinetto. Che poi il motivo non è tanto oscuro, quando incrociano al largo quelle famose gigantesche sette porta-container, generando onde che arrivano a scombinare la trama del mare, ma per il resto del tempo il mistero si infittisce. Solo che non abbiamo né modo né voglia di risolvere l'enigma, tutti presi come siamo a gestire quelle onde sconclusionate.
Capisco anche un'altra cosa: non posso vedere Mauro andare su è giù su quelle montagne d'acqua bianca. Devo stargli davanti, così non guardo tutto quel suo saliscendi che mi fa salire il cuore prima in gola per poi farlo scendere nei talloni. Devo stargli sopravvento, così non è lui a scalare quelle masse liquide (e a mandarmi in ansia ogni volta di più!) ma sono io per prima ad affrontare ogni onda in arrivo e a capire che si, è fattibile, come direbbe lui. Devo anche stargli controluce, così il suo profilo non si staglia minaccioso sulla cresta ripida di ogni frangente (inducendomi a pensare che possa precipitarmi addosso oppure che possa rovesciarsi in mare!) ma si disegna chiaro e visibile tra le onde sempre minacciose ma almeno illuminate dal sole e tinte di un bel blu rilassante (contro quel nero inquietante dell'altro lato!). Insomma, una delicata questione di prospettiva, di tattica e di pazienza.
Di foto neanche a parlarne.
Di godersi il tramonto sul mare neanche.
Di apprezzare lo sbarco in notturna tanto meno.
Tanto più che un attimo prima di mettere piede sulla sabbia capiamo che quella è la spiaggia della
tempesta perfetta che ci ha sorpresi a giugno! Niente di meno: una traversata in tempesta per raggiungere la cala della tempesta!
Ma sotto l'unico lampione acceso appare la tettoia della taverna, chiusa allora per l'inizio di stagione e chiusa ora per la fine di stagione. E' un ottimo riparo per la nostra povera tendina e per le nostre povere ossicine.
Servono ben più di dieci ore di sonno, stanotte, per riuscire a rimetterci in sesto...
|
Il grande carcere di mattoni rossi sull'isola di Gyaros |
|
La piccola baietta sul lato sud del carcere di Gyaros |
|
Il lento risveglio nel cortile di cipressi |
|
La breve visita al carcere di Gyaros |
|
Pagaiando lungo le ultime propaggini di Gyaros |
|
Lasciamo l'isola di Gyaros per traversare sul Kea |
Lunedì 7 novembre 2016 - 137° giorno di viaggio
Ormos Spathi - Korissìa, Kea (16 Km)
Vento S 17-23 nodi (F5-6) - Mare da quasi calmo a poco mosso - Temperatura 21°C
E dieci ore dormiamo.
Esattamente dalle otto di sera alle sei di mattina.
Non abbiamo puntato la sveglia, però la stanchezza accumulata, frammista alla voglia di proseguire, ci fanno aprire gli occhi alle prime luci dell'alba. Possiamo prendercela comoda, stamattina, perchè dobbiamo "solo" pagaiare lungo la costa nord di Kea e raggiungere il suo porto principale sul versante occidentale.
E così ci trastulliamo fino all'ora di pranzo.
Unico obiettivo del giorno: mangiare in taverna all'arrivo.
Non sappiamo ancora di stare per vivere la giornata più faticosa del viaggio.
Più della traversata pur impegnativa di ieri tra Gyaros e Kea.
Più delle altre quaranta traversate.
Più di tutte le altre 136 giornate di viaggio.
Perché oggi, oltre alla fatica, ci si mette anche lo scoramento.
Già uscire dalla cala della tempesta perfetta non è cosa facile: a riva frangono bei cavalloni spumeggianti che ci costringono a girare i kayak e, cosa molto rara, ad imbarcarci di prua; oltre la zona dei frangenti dobbiamo zatterarci per pompare fuori l'acqua dai pozzetti e per togliere i sassolini che si sono infilati sia nei sandali che nella deriva; appena fuori dalla baia, poi, il mare ci incalza senza darci neanche il tempo di riprendere confidenza con le onde.
Tutto il primo tratto di costa è battuto dai venti in rinforzo da sud, le raffiche ci raggiungono alle spalle e ci spingono in avanti molto velocemente, anche se non del tutto facilmente, perché in prossimità dei capi più pronunciati ritornano lavatrici ed incroci di correnti. Tutta la parte nord dell'isola, invece, è protetta dalle raffiche, ma non appena si apre una cala il vento precipita in mare con violenza inaudita, come capita già nell'ampio golfo di Odzia, dove a giugno avevamo fatto una sosta piacevolissima cullati dal mare calmo e dove ora invece i frangenti nervosi e ravvicinati imbiancano per intero lo specchio d'acqua. Tutta la parte occidentale di Kea, infine, è battuta da venti catabatici talmente forti che superano di gran lunga le previsioni. Specie sul capo di nord-ovest.
Pagaiamo già da due ore: ce ne vorranno altre due per raggiungere il porto di Korissìa.
Due ore d'inferno. Due ore di patemi d'animo. Due ore di fatiche ciclopiche.
Proprio quando cominciavo a pensare che il viaggio stava volgendo al termine e non dovrebbe più riservare altre sorprese, ecco che in un paio di giorni ce ne capitano di tutti i colori!
Per la prima volta penso (ma non dico) che sarebbe stato meglio prendere il traghetto da Syros per tornare ad Atene. Ci avremmo messo appena cinque ore, forse meno. Poi penso anche alla fatica che avremmo dovuto fare per imbarcarci su quel traghetto: spostare i kayak dal porticciolo turistico di Ermoupoli fino al porto principale, distante più di tre chilometri, caricarli uno alla volta sull'unico carrellino che abbiamo, attraversare strade trafficate e scendere marciapiedi dissestati e girare curve a gomito, per poi tornare a prendere il secondo kayak e ricominciare tutto d'accapo, senza sapere dove lasciare il primo perché il porto apre solo pochi minuti prima della partenza del traghetto di linea. Sarebbe stata una sfacchinata come poche, che ho valutato solo per pochi istanti (io sola, Mauro mai) e che ho sempre scartato perché consapevole della fatica immane che avrebbe comportato (e memore di altre infelici esperienze fatte in viaggi lontani...).Ma oggi penso che quella faticaccia a terra sarebbe stata ben poca cosa in confronto a questa faticaccia in mare. Ma lo penso soltanto. Non lo dico. Ma ci ripenso spesso.
Già pagaiare lungo la costa nord-ovest di Kea è per me un'inferno: le folate arrivano inaspettate e violente, gli sbuffi scendono giù dai monti con una forza che mi sorprende, il vento da sud si trasforma in raffiche catabatiche ancora più imprevedibili di quelle a cui ci aveva abituato l'isola di
Andros. Le vallate strette ed impervie dell'isola di Kea si susseguono per un lungo tratto, lungo abbastanza da togliere il fiato, lungo fino all'ultimo capo.
Quando finalmente, e dopo gran battagliare, raggiungiamo quel promontorio pronunciato più degli altri, alto più dei precedenti e rivestito di rocce traforate di un bel verde smagliante, quindi ben più visibile di tutti gli altri, la nostra avanzata verso il porto dell'isola subisce una brusca battuta di arresto. Per qualche lungo minuto pagaiamo come forsennati ma non avanziamo di un millimetro rispetto a quella benedetta scogliera verde: siamo fermi. E fermi restiamo.
Finché Mauro non riesce a passare oltre.
E allora io mi sento persa.
Piango, urlo, impreco: ma niente, il vento non cala (ovviamente!)
Perdo il ritmo, perdo la presa, perdo il controllo.
Quando le raffiche passano, e per qualche rarissimo istante tutto attorno si placa, distinguo meglio (ed in maniera alquanto imbarazzante) le mie urla ed i miei improperi. Nel silenzio di quegli sporadici momenti di calma sento, insieme alla quiete della natura, anche tutta la mia vulnerabilità.
Voglio tornare a casa per mangiare le quattordici uova di cappelletti che il Mammut ha già preparato per Natale. Voglio tornare a casa per abbracciare il mio fratellino preferito, che non vedo da sei mesi e chissà quanto s'è fatto bello. Voglio tornare a casa per chiacchierare giorni interi col mio amichetto del cuore e raccontargli che si, ho avuto paura di non farcela, che si, ho pianto per la fatica, e che si, ho pensato che era meglio prenderlo, quel benedetto traghetto.
Ma gli direi anche che no, non mi sono ancora stancata di andare per mare, di navigare su un guscio di noce e di pagaiare nel vento. Gli racconterei che quando ho pensato di essere un moscerino preso nella morsa degli elementi, poi mi sono anche sentita un gigante, quando finalmente da quella morsa sono riuscita a liberarmi. Perché pagaiare ti mette di fronte a piccole grandi sfide. Perché il mare è un po' come la vita: tra una raffica e l'altra c'è sempre un momento di tregua. E se hai saputo affrontare gli schiaffi del mare, puoi esser certo di poter affrontare anche quelli della vita. Specie se hai accanto chi ti può e ti sa aiutare: Mauro si avvicina, mi tranquillizza e mi incoraggia.
E così, dopo lo scoramento iniziale subentra la determinazione.
Riprendo a pagaiare con più concentrazione: testa bassa sul ponte, busto proteso nel vento, braccia tese sull'acqua. E quando alla fine entriamo in porto, perché quel porto alla fine lo raggiungiamo, sappiamo di avere superato l'ennesima prova e di averla superata insieme.
|
Soddisfatti di avere finalmente raggiunto anche Kea |
|
L'imbarco dalla cala della "tempesta perfetta" |
|
Pagaiamo sul versante settentrionale di Kea in senso contrario alla prima volta |
|
E ritroviamo gli stessi passaggi, già fotografati a giugno |
|
L'ingresso tanto sospirato nel porto di Korissìa a Kea |
|
Dopo aver messo piede su Syros abbiamo completato il periplo delle Isole Cicladi! |
Martedì 8 novembre 2016 - 138° giorno di viaggio
Korissìa - Korissìa, Kea (0 Km)
Vento S 19-29 nodi (F5-7) - Mare mosso - Temperatura 22°C
Oggi riposo. Completo.
E forse anche domani e dopo: le previsioni annunciano venti da ovest in aumento fino a 37 nodi.
Non possiamo proprio affrontare l'ultima traversata con venti contrari di quella portata: non riusciremmo neanche ad uscire dal porto!
Nelle settimane passate abbiamo giocato a scacchi col Meltemi, ora ci tocca giocare a nascondino col vento di Mezzogiorno.
Ma attendere è diventata la nostra strategia principale: aspettiamo che si attenui.
Atene dista poco più di 60 Km e noi mordiamo il freno per tornare a casa... anche se qui sembra scoppiata l'estate e da casa ci suggeriscono di restare in Grecia!