SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

Fin dalla prima volta che ci siamo avventurati sul Mar Egeo, abbiamo fantasticato di pagaiare per un lungo periodo tra le sue innumerevoli isole... senza avere l'assillo di dover finire nel tempo a disposizione quello che ci eravamo prefissati.
Ora questa aspettativa si è concretizzata: il viaggio inizia a fine giugno con un biglietto di sola andata...
Quando avremo finito le Isole Cicladi... torneremo a casa...
Tatiana e Mauro

Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!


domenica 4 settembre 2016

Iraklia in festa, Schinousa nel vento, Kato & Epano Koufunissi a babà

Lunedì 29 agosto 2016 - 67° giorno di viaggio
Ormos Alimnias - Agios Georgios, Iraklia (12 Km)
Vento NW 12-17 nodi (F4) - Mare poco mosso - Temperatura 25°C
La cala che ci accoglie ad Iraklia, la più occidentale delle Piccole Cicladi, potrebbe anche meritare un 10 e lode pieno, se non fosse per i troppi ciottoli sulla parte destra della spiaggia, quella più ridossata dal vento dove scegliamo di montare il campo.
Però merita comunque una menzione d'onore per la presenza sulla battigia di una serie di pietre che qualcuno prima di me ha usato per un articolato esercizio di rock-balancing: che io risistemo a dovere al mattino presto, visto che Mauro per una volta dorme molto più a lungo di me. Non sono la sola ad appassionarsi a questa strana disciplina, visto che tutti i bagnanti che arrivano col caicco di mezzogiorno scattano decine di foto alla "mia" composizione ed una coppia di giovani greci mi avvicina per chiedere il permesso di modificare gli equilibri esistenti e crearne di nuovi... è sempre bello scoprire di non essere l'unica che impila sassi in giro per il Mediterraneo!
Quando nella baia fa il suo ingresso trionfale un trimarano carico di turisti vocianti, noi lasciamo la cala ed iniziamo a risalire lungo la costa occidentale di Iraklia.
Rispolveriamo una personalissima tecnica di navigazione, elaborata forse alle Isole Baleari, che regale sempre e comunque grandi soddisfazioni: scogliettiamo! I Voyager non si prestano facilmente a piroettare tra gli scogli, ma con un minimo di perizia riusciamo a farli entrare in ogni anfratto sotto le scogliere frastagliate di questo tratto dell'isola.
Incontriamo le "solite" lavatrici sui capi più pronunciati ma oggi sono tutte impostate sul programma "delicati" e non ci fanno tribolare più di tanto.
Facciamo una sosta per il pranzo nella paradisiaca caletta di Vorni Spilia, incassata ad uncino e protetta dal Meltemi: schiaccio un pisolino sotto il sole caldo e cerco di dimenticare sia il grande ammasso di rifiuti che qualche anima pia si è comunque preso la briga di ammassare in due cumuli al centro della spiaggia, sotto un cartello in legno con su scritto "Please, keep clean this little paradise", e sia la carcassa di tartaruga che giace sulla battigia col carapace sfondato probabilmente dall'elica di una barca a motore.
Proseguiamo nel primo pomeriggio verso nord e ci ritroviamo in un'altra lavatrice, stavolta piena di plastiche trasportate dalla corrente: ci dedichiamo così alla raccolta di buste bianche, rosse e blu e di ben tre ricci longispinus che galleggiano tra un rastrello verde ed una formina rossa. Distrattamente li infilo nel giubbotto ed ovviamente li perdo qualche metro più in là: dovrò escogitare un sistema più sicuro per i prossimi tesori raccolti in mare!
Ci ritroviamo presto a doppiare il capo settentrionale di Iraklia, sormontato a terra da un nano-faro fuori uso ed occupato in mare da una proto-elica con pannelli solari opachi e strutture galleggianti completamente arrugginite... chissà perché è ancora lì e nessuno pretende di smantellare un piccolo mostro marino che peraltro ingombra l'ingresso del porto principale.
Siccome siamo due panfili, sbarchiamo al centro della spiaggia del porto.
Chiacchieriamo a lungo con due simpatici ragazzi torinesi, tutti curiosi di capire come sia possibile resistere in mare per così tanti giorni consecutivi. Ci consigliano di andare a cena nella taverna sul porto e noi non esitiamo un secondo a seguire il loro suggerimento. Ci dicono anche che la festa patronale del 28 agosto, che noi abbiamo mancato di un giorno, è stata prolungata con una seconda serata danzante: stasera c'è musica dal vivo dalle dieci a mezzanotte.
Poi, invece, la festa si protrae fino all'alba: fino alle sei del mattino!
Erano settimane che dicevamo di voler partecipare ad una festa popolare, una di quelle così frequenti alle Cicladi perché corrispondenti alle celebrazioni religiose in onore dei vari santi, cui sono state dedicate le varie cappelle erette un po' ovunque sulle varie isole.
Arriviamo ad Iraklia giusto in tempo per la festa di "recupero": la festa patronale si celebra in cima al Monte Papas, il più alto dell'isola a 420 metri sul livello del mare, nella chiesetta di Agios Nikolaos costruita all'ingresso di una grotta dall'interno ricolmo di stalattiti spettacolari (che noi ammiriamo soltanto in cartolina!). Una delle guide turistiche consultate prima della partenza diceva che per raggiungere la grotta dalla cala dove abbiamo fatto campo occorrono corde, torce e buone scorte d'acqua. Non ci pensiamo due volte a perdere l'occasione di partecipare alla sacra funzione. I paesani, i cento residenti abituali, salgono dal paese a dorso di mulo e nelle settimane precedenti le celebrazioni le donne si riuniscono per preparare  piatti tradizionali, come il purè di fave ed i dolcetti di sesamo: la sera della festa tutti mangiano e bevono insieme, offrendo vino e liquori anche ai turisti presenti (Nico e Roberta ci avevano raccontato che tutto è gratis, salvo l'acqua e le bibite gassate, che sono invece a pagamento!).
Questa sera il porto si anima già dal tardo pomeriggio: giochi per bambini, sedie ben allineate lungo il molo e palchetto per i musicisti. La meta è senza dubbio più facile da raggiungere e sembra proprio che non manchi nessuno: sul posto accorrono tutti, e sono di certo ben più di cento!
Il concerto è molto piacevole, il violino ben accordato ed il bouzouki suonato con maestria.
Il rebetiko, la musica greca per antonomasia, ha origini antiche ed una storia interessante: dopo l'incendio di Smirne e di altre città greche sulla costa turca del 1922, uno degli episodi più bui dei sempre difficili rapporti diplomatici tra Grecia e Turchia, gli esuli greci rientrati in patria e distribuiti sulle isole e sul Pireo sono stati accolti non come fratelli in difficoltà ma come intrusi scomodi, arrivati a rubare il già poco lavoro e ad aumentare il malcontento sociale. La storia che così spesso si ripete e che così poco insegna è di quasi un secolo fa, ma suona ancora maledettamente attuale: quei profughi avevano perso tutto in una notte di roghi, case, terreni, lavori, legami ed affetti, ed arrivavano in un paese nuovo con un passato da dimenticare, un presente incerto ed un futuro tutto da costruire. Avevano salvato qualche strumento musicale, due ricordi malinconici ed una gran voglia di ricominciare. Anche per questo il rebetiko è una musica tanto triste: i testi parlano sempre di amori sfortunati, di capitani imbarcati in viaggi lontani, di donne sole che crescono troppi figli, di famiglie separate per nove mesi all'anno, di inverni rigidi e poveri... Mauro, con la sua impeccabile capacità di sintesi, dice che è la musica adatta per chi vuole suicidarsi tagliandosi le vene dei polsi!
Invece il rebetiko ha un suo fascino del tutto particolare.
Lo spiega bene Vinicio Capossela in un libricino dal titolo accattivante, Tefteri - il libro dei conti in sospeso, che il Mammut mi ha regalato pochi giorni prima di partire e che io ho letteralmente divorato in un pomeriggio di lettura. Da grande musicista e profondo conoscitore dell'animo umano, Capossela incontra e dialoga e suona con i più grandi compositori ed esecutori contemporanei di rebetiko e ha saputo coglierne il lato più intimo e nascosto.
Ne parla tanto anche Ioanna Karistiani, una delle più apprezzate scrittrici greche del momento, tradotta in italiano dalla meritevole casa editrice E/O, che nei suoi romanzi storici ambientati sulle Isole Cicladi tratteggia il vivere quotidiano del passato e del presente della sua terra in maniera molto coinvolgente.
E poi sulle note del rebetiko tutti ballano un ballo collettivo fatto di braccia intrecciate sulle spalle del vicino e passi cadenzati facili da seguire e file di persone di ogni età che ondeggiano insieme, mentre qualche giovane si diletta in saltelli coreografici da far invidia ai più agili funamboli del circo. E sembrano tutti contenti, tutti sorridenti, tutti legati in un cerchio musicale un po' magico un po' misterioso.
Insomma, a me il rebetiko piace pure parecchio, lo sento nelle mie corde e mi ricorda pure il fado portoghese di cui facevo scorpacciate quando vivevo a Lisbona. E' una musica dolce e mielosa, malinconica ma vitale, ricercata e mai scontata.
Ma va bene per un'ora o due: per tutta la notte e fino all'alba magari anche no!      

Il primo campo su Iraklia, nella baia di Alimnias
Il rock-balancing del primo mattino
Una delle lavatrici impostate sul programma "delicati"
L'eco-mostro all'ingresso del porto di Iraklia
La lunga colazione sulla terrazza panoramica del bar del porto
La costa di Iraklia

Martedì 30 agosto 2016 - 68° giorno di viaggio
Agios Georgios - Tourkopigado, Iraklia (20 km)
Vento NW 9-11 nodi (F3-4) - Mare poco mosso sul versante orientale - Temperatura 25°C
Il risveglio del mattino non solo è lentissimo ma anche rintronatissimo.
Abbiamo montato la tenda sulla spiaggia, dietro la tamerice a due passi dal palco del concerto, quando ormai è passata da un pezzo la mezzanotte e abbiamo capito che la serata sarà molto più lunga del previsto. Ma noi crolliamo dal sonno.
Nessuno ha fatto caso a noi ieri sera, nessuno fa caso a noi stamattina. Solo quando attracca al molo il piccolo traghetto bianco della Little Cyclades Lines il ragazzo della Guardia Costiera ci saluta con un sorriso ed un kalimera e ci fa gentilmente segno di smontare.
Colazione alla terrazza panoramica del bar sul porto con tortillas e profitterolles e poi giretto veloce nelle due viuzze del paesino per curiosare nei due negozietti di artigianato locale, che mi regalano altre mille ispirazioni per i miei lavoretti con legnetti e conchigliette. Sono tutti evidentemente ancora rallentati dalla notte di balli e bagordi e anche noi ci adattiamo perfettamente ai lentissimi tempi isolani.
Saliamo in kayak alle 14.30 e continuiamo a scogliettare perché l'isola, per quanto piccola, con appena 25 chilometri di sviluppo costiero, merita una visita ravvicinata.
Le guide come al solito hanno ragione: Iraklia è l'isola ideale per staccare la spina. Non offre né vita notturna (!) né negozi di souvenir (!!) né attrattive turistiche (!!!). La verità è che l'isola ha saputo mantenere il suo carattere originario: non sono state costruite strutture ricettive che ne hanno stravolto l'aspetto selvaggio e le poche case intorno al porto si integrano perfettamente nell'ambiente circostante.
Iraklia accoglie chi come noi arriva da ovest con un picco montuoso molto pronunciato e poi digrada dolcemente verso est, verso la Chora ed il porto, in una serie di morbidi rilievi ricoperti di arbusti di macchia mediterranea e di piante di fichi d'india. Pare ricca di sorgenti naturali e ha soltanto sette spiagge di sabbia, raggiunte solitamente a bordo dei classici caicchi colorati. Noi le guardiamo tutte dal mare, mentre completiamo il periplo dell'isola con una bella pagaiata, anche se contro vento, che prolunghiamo fino alla cala del nostro primo sbarco, così da farle ciao ciao con la manina e chiudere idealmente il periplo dell'isola. Poi torniamo indietro per qualche chilometro ed è due volte più bello: perché per una volta navighiamo in favore di vento e perché pagaiamo gratis sulla stessa piccola ondina che ci accompagna nella luce dorata del tramonto.
Sul versante orientale la costa è incisa da un profondo fiordo dal nome accattivante, Tourkopigado, dove scegliamo di passare la notte. Sbarchiamo alla radice del piccolo molo di piccoli pescherecci e tiriamo i kayak in secca su una vecchia cima da ormeggio grossa quanto un braccio. Ci viene subito incontro un italiano loquace per dirci che stanno organizzando un barbeque sulla spiaggia con gli altri ospiti della domatia, l'affittacamere dove sono tutti insieme in vacanza. Noi allora ripariamo sul moletto di cemento: è la prima volta che ci capita durante questo viaggio ma ne abbiamo già fatto esperienza nei viaggi precedenti. Il cemento è duro ma perfettamente in piano ed è anche caldo: durante la notte rilascia un piacevole tepore che concilia il sonno. O almeno dovrebbe.
Invece fino alle quattro del mattino ci arriva l'eco troppo ravvicinata di una festa techno organizzata chissà dove e chissà perché, poi alle quattro e mezza un pescatore viene a cercare taniche e cime nel caicco adagiato nella risega davanti alla quale abbiamo issato la tenda, poi Mauro attacca a russare, poi è la volta delle cornacchie che si radunano in spiaggia per gracchiare alle prime luci dell'aurora, poi si uniscono anche le tortore che tubano all'impazzata e per finire una capra solitaria, che forse ha smarrito il gregge e che inizia a belare ad intervalli talmente regolari da ricordare quei giochi per bambini che devi girare e rigirare per sentire il verso degli animali. Poi sorge il sole, il fiordo si illumina, io mi alzo e... vabbè, è stata un'altra notte insonne, pazienza.

Lungo il versante orientale di Iraklia
La cena sul moletto di Tourkopigado
L'ennesima lavatrice "quasi-delicata"
Lungo il versante orientale di Schinousa
Verso il capo settentrionale di Schinousa
Bella costa e bel mare!

Mercoledì 31 agosto 2016 - 69° giorno di viaggio
Tourkopigado, Iraklia - Psali Ammos, Schinousa (16 km di cui 4 in traversata)
Vento NW 13-18 nodi (F4-5) - Mare da mosso a poco mosso - Temperatura 25°C
Per recuperare un poco di energie facciamo una doppia colazione: prima yogurt con miele e frutta secca, poi pane e marmellata imbevuto nel caffè-latte solubile (ci perdonino gli amanti della moca, ma noi non siamo dei grandi estimatori di caffè, è risaputo!).
Scopro con raccapriccio di avere una piccola falla nello scafo, un sassolino che ha forato la vetroresina proprio nel gavone di poppa: erano già un paio di giorni che trovavo un po' d'acqua ed una volta di più apprezzo i panni assorbenti che Mauro ha da sempre scelto di posizionare sul fondo dei gavoni: sono dei perfetti indicatori di indesiderate infiltrazioni d'acqua. Un po' di stucco epossidico bi-componente su entrambi i lati ed una nastratura d'alluminio protettiva all'interno del gavone e la riparazione d'emergenza è presto fatta.
Capisco anche che le sacche stagne dell'abbigliamento autunnale che ho infilato nel pozzetto oltre il punta piedi sopra le ruote del carrellino sono completamente intrise d'acqua: chissà da quanto hanno smesso di essere stagne, perché è qualche settimana che non infilo più la testa nel pozzetto per controllarne lo stato. Peseranno 150 chili l'una! Ecco perché il folletto-schiavetto non si è mai più degnato di fare capolino dal gavone. Stendo tutto ad asciugare ma tutto avrà bisogno di una sciacquata con dell'acqua dolce, altrimenti rimarrà tutto secco ed incartapecorito.
In compenso, il folletto viene a darmi subito un ditino d'aiuto e per la prima volta riesco a sollevare il mio Voyager, come solitamente faccio con quello di Mauro. Vittoria!
Mentre siamo in queste faccende affaccendati, arrivano in spiaggia i ragazzi torinesi che avevamo conosciuto al porto e tra le altre cose ci raccontano di avere dato una degna sepoltura alla tartaruga morta della caletta di Vorni Spilia. Presto la piccola cala si affolla anche di altri italiani, giunti nei modi più disparati, a piedi, in motorino e con un pulmino organizzato: sembrano tutti attratti dalla nostra bandierina italiana e si avvicinano in tanti per farci domande e foto e manca poco che ci facciamo anche una hola di buon augurio quando alla fine ci imbarchiamo in kayak.
Traversiamo nel vento fino alla vicina, disabitata e selvaggia isola di Fidousa, poco più grande di uno scoglio, che però vanta una spiaggetta idilliaca al centro di due bassi promontori a forma di fagiolo, arrotondati e pelati dal vento.
Proseguiamo fino allo stretto canale, navigabile solo in kayak, che la separa dall'isola maggiore, Schinousa, che subito ci sorprende per i numerosi resort, i troppi yacht e i tre elicotteri parcheggiati sulla prima collinetta.
Incespichiamo nella taverna sul mare della caletta di Tsigouri, ai piedi della Chora, che però non ci ispira la visita. Ripartiamo satolli e pagaiare contro vento per altri otto chilometri a pancia piena è un po' pesante, ma riusciamo a superare anche questa difficile prova nautico-digestiva.
Pagaiando intorno all'isola di Schinousa, elaboriamo una personalissima teoria sul vento. Quando il mare, visto da terra, sembra grosso e minaccioso, una volta in kayak si rivela solitamente più bonario ed accogliente. Viceversa, quando il vento soffia impetuoso, da terra sembra sempre meno violento, ma una volta in mare è tutt'altro che addomesticabile: quasi sempre, è più forte di quanto non appaia da riva e il più delle volte è molto aggressivo e feroce, quasi a voler dire che in mare aperto trova spazi liberi su cui sfogare la propria violenza. Il vento in mare è sempre più forte che a terra.
Ce la raccontiamo un po' per distrarci e scapoliamo la punta settentrionale dell'isola perché la baia pur molto bella di Gerolimionas è molto esposta al Meltemi e le previsioni annunciano raffiche fino a 30 nodi anche durante la notte. Ci serve una baia ben ridossata per proteggere la nostra povera tendina dagli assalti del vento e la troviamo dopo pochi chilometri: è tutta per noi. Allo sbarco incrociamo soltanto una coppia di ragazze che indossano il vestito di Wilma Flinstones ed un sorriso largo quanto la spiaggia: si arrampicano su per la duna che sale alta lungo il versante nord della cala e scompaiono dietro quel ginepro lassù, dove si intravede la loro tenda e si sente il benvenuto del loro cane.
Ceniamo con due biscottini al limone perché siamo ancora gonfi del pranzo e restiamo a lungo in ammirazione della Via Lattea che si accende insieme alle nostre costellazioni preferite: lo Scorpione, il Cancro, l'Aquila, il Delfino, il Cigno. Stanotte all'ingresso della nostra tenda campeggiano Pegaso ed Andromeda.
Il Meltemi sembra deciso a soffiare per tutta la notte, ma Mauro scova il solito angolino ben ridossato e noi riusciamo a dormire per dieci ore filate, finalmente!

Arrivo a Kato Koufonissi
Il campo sulla spiaggia di Detis a Kato Koufonissi
Senza parole
Cuore di pietra!
La costa occidentale della piccola e bella isola di Glorinisi
I faraglioni di Glaronisi

Giovedì 1 settembre 2016 - 70° giorno di viaggio
Psali Ammos, Schinousa - Ormos Detis, Kato Koufonissi (18 Km di cui 6 in traversata)
Vento NW 21-28 nodi (F6) in attenuazione dalle ore 15 - Mare da molto mosso, con onde di un metro frangenti, a calmo - Temperatura 24°C
Risveglio lento ma non troppo perché il Meltemi, che non ha mai smesso di soffiare per tutta la notte, ritorna sin dal primo mattino a spazzare la spiaggia con raffiche a 30 nodi. Fare colazione con pane miele e sabbia non è la nostra massima aspirazione, così una volta tanto acceleriamo i tempi.
Ci accoglie in mare una prima ora di pagaiata nel vento di grande divertimento: puntiamo diretti verso Akrotiri Almyros, verso sud, con belle onde al traverso che ci spingono un po' troppo vicino alle secche, che numerose si allungano sul capo. Poi ci godiamo le stesse onde gonfie e ruggenti di poppa piena fino al secondo capo, dietro il quale ci ridossiamo per una pausa pranzo, condita da una doppia pennichella-sandwich, sia prima che dopo il pasto.
Quando stiamo per ripartire, incrociamo un ragazzo su un kayak giallo che guida una coppia su un doppio rosso: è contento di vederci al punto che dimentica i clienti, scende al volo in spiaggia e viene a stringerci la mano. "I hope to become like you!" ripete mentre scatta foto ai kayak, alle pagaie e agli adesivi del nostro viaggio.
Traversiamo verso nord su Kato Koufonissi per 6 chilometri molto tranquilli: il vento è ancora molto teso ma siamo in parte ridossati dall'isola che stiamo per raggiungere ed in parte, forse, dalla non troppo lontana isola di Naxos.
Entriamo nel settantesimo giorno di viaggio mettendo piede su un'isola bellissima, Epano Koufonissi, che ci incanta sin dalle prime scogliere dorate. E' molto varia e ci offre un panorama diverso ogni poche pagaiate, con colori e forme molto accattivanti, cale e spiagge deserte, un campeggio libero organizzato nella baia precedente a quella in cui sbarchiamo: è tutta per noi, di ciottolini bianchissimi, e l'ultimo sole tinge di rosso l'isola di Keros, che si erge maestosa oltre lo stretto braccio di mare dinanzi al quale ceniamo in tutta tranquillità.
Siamo arrivati al primo di settembre senza neanche accorgercene.
C'è però una leggera brezzolina serale che non solo induce l'uomo di Ferro ad indossare ancora una volta la giacca d'acqua mentre è tutto intento a cucinare, ma impone anche a me qualche accorgimento particolare: ceno col sacco a pelo gettato sulle spalle, a mo' di mantellina da zitella. Per la terza costante dell'universo, questo significa che riesco a macchiare pure quello!

Ancora i faraglioni e l'acqua cristallina di Glaronisi
Un chilometro di meraviglie!
Chissà perché non c'è nessuno!
L'estremità meridionale di Glaronisi
Il ferma-bancale
La risalita nel vento verso il capo nord-orientale di Epano Koufonissi

Venerdì 2 settembre 2016 - 71° giorno di viaggio
Ormos Detis, Kato Koufonissi - Ormos Italida, Epano Koufonissi (11 km, di cui 2.5 in diverse traversate)
Vento NW 23-28 nodi (F6) in attenuazione - Mare da mosso a poco mosso - Temperatura 24°C
Ci godiamo la bella spiaggia di ciottoli bianchi fino all'ora di pranzo, quando arrivano i primi bagnanti. Oggi non abbiamo alcun programma prestabilito perchè continuiamo a guardare la mappa nautica senza deciderci sul da farsi.
Alla fine, è il mare a scegliere per noi.
Costeggiamo l'ultimo tratto del versante orientale di Kato Koufonissi e scoviamo l'angolino segreto di cui tanto ci aveva parlato Manolis, un arco naturale che però non è un arco ma un lastrone di roccia bianca e levigata che scende a triangolo in mare, tuffandosi nell'acqua più turchese di sempre.
Quando raggiungiamo la chiesetta di Panagia, affacciata su una piccola ansa ridossata in cui è ancorato un unico bellissimo caicco colorato, ci guardiamo intorno e capiamo dove andare: traversiamo su Glaronisi, l'isolotto di fronte, distante appena un chilometro, ma che ci lancia un richiamo chiaro ed irresistibile.
Lo stretto braccio di mare è imbiancato di frangenti, bassi e frequenti e ravvicinati: è un doppio invito, perché questo è il mare che più ci diverte, e con un traghetto perfetto in dieci minuti d'orologio siamo dall'altra parte. L'isolotto è basso e brullo, con una sola casetta di mattoni sul versante occidentale ed uno sviluppo costiero di poco più di due chilometri.
Il versante orientale, che ancora non vediamo, ci riserva le sorprese più sorprendenti: è ricco di faraglioni, archi naturali, grotte, scogliere strapiombanti e piccole baiette dalle acque cristalline. E' il parco giochi ideale di ogni kayaker e noi scivoliamo nel vento con tale facilità da pensare quasi di risalire contro vento per rifare il giro in senso contrario. E' appena un chilometro di costa ma di puro godimento, tanto più che ammirare la scogliera senza il pensiero di pagaiare perché il mare di poppa lavora per noi è un doppio piacere.
Ma appena doppiato il capo meridionale scorgiamo una piccola caletta riparata dal vento, con un piccolo passaggio tra gli scogli affioranti ed una piccola lingua di sabbia appena sufficiente ad ospitare i nostri due kayak. C'è un bancale di legno verde che ci permette di tirare in secca i Voyager senza nessuna fatica, e senza richiamare all'appello il folletto-schiavetto.
Sull'isolotto delle meraviglie facciamo così una lunga e rilassata pausa pranzo, con tanto di shampoo e sonnellino al sole, e la spiaggia mi regala tante altre piccole meraviglie, dai coralli bianchi ai ricci verdi a tre strepitose cipree maculate!
C'è però anche la carcassa di un'altra tartaruga, questa col carapace completamente sfondato, come se fosse stata scaraventata sulla scogliera dall'ultima mareggiata.
Ritraversiamo su Kato Koufonissi sfruttando il vento al mascone e poi ci tocca una brevissima traversata su Epano Koufonissi, esattamente contro vento, ma il canale è talmente stretto, appena mezzo chilometro, che quasi non ce ne accorgiamo, di pagaiare chini sul ponte anteriore, con la testa incassata tra le spalle ed il mento a sfiorare il paraspruzzi. Per appena dieci minuti, tanto dura il supplizio fin dentro il porto principale di Ammos.
Facciamo una breve sosta per la spesa al market vicino alla spiaggia, ci gustiamo un gelato seduti sulla panchina a pochi passi dalla battigia e riflettiamo sulla strana abitudine di installare panchine in spiaggia che nessuno utilizza ma che per noi sono davvero molto comode.
Costeggiamo il versante meridionale dell'isola con l'intento di raggiungere l'ultima spiaggia a mezza luna sul capo settentrionale, ma la "soffiata" del ragazzo greco che si avvicina per chiederci dei kayak e del viaggio ci fa optare per quella precedente: a Pori c'è una festa di matrimonio nella rinomata taverna sul mare e già si sentono le prime prove dell'orchestra. Sulla spiaggia di Italida, invece, c'è ancora un sacco di gente che gioca a racchettoni ma poi, come sempre accade al tramonto, restiamo gli unici fruitori di questo nuovo piccolo angolo di paradiso.
Lo sbarco ci riserva qualche sorpresa perché c'è un dumping di un metro: la tecnica descritta nei manuali di kayak, di pagaiare in sincrono con le onde per raggiungere la spiaggia sull'ultimo ricciolo e saltare fuori al volo non appena la prua tocca la sabbia non è mai praticabile con le barche (stra)cariche da spedizione, specie quando il dumping stesso ha modellato la spiaggia in maniera tale da renderla ripida fino a 45 gradi. L'unica soluzione è aspettare il momento giusto, che prima o poi arriva sempre, in cui il dumping si placa per qualche istante, giusto il tempo di arrivare sulla riva senza caracollare nelle onde spumeggianti. Sbarca prima Mauro, con un tempismo che mi lascia sempre più ammirata delle sue capacità di gestione dell'imbarcazione, io aspetto che passi il treno di nuove onde e poi lo raggiungo d'infilata sull'ultimo ricciolo brioso.
E' la perfetta conclusione di una perfetta giornata di navigazione.
Anzi, ad aggiungere perfezione al tutto, c'è anche il prato di gigli di mare bianchi che si estende oltre la duna e la cena sotto le stelle che si accendono mentre siamo intenti a preparare il campo: stasera l'ingresso della tenda è rivolto verso il Grande Carro.

Onde in arrivo...
Strane creature aliene: qualcuno sa cosa sono?!?
I faraglioni di Bourgaza, sulla punta settentrionale di Kato Koufonissi
Lungo il versante nord-occidentale di Kato Koufonissi
Pagaiare gratis col vento in poppa
La costa meridionale di Kato Koufonisi

Sabato 3 settembre 2016 - 72° giorno di viaggio
Ormos Italida - Limani Parianos, Epano Koufonissi (23 km)
Vento N 28-32 nodi (F7) - Mare molto mosso con onde di oltre 2 metri spesso frangenti - Temperatura 24°C
Come sempre, ci godiamo il mattino in perfetta solitudine.
Non appena la spiaggia si riempie di bagnanti, noi prendiamo il mare.
Stamattina non c'è più il dumping di ieri sera e l'imbarco è molto agevole.
L'acqua della baia è cristallina e acquista subito tutte le gradazioni possibili, dal bianco panna al blu cobalto. Il Meltemi arriva presto ad increspare la superficie del mare!
Noi abbiamo intenzione di completare il periplo dell'isola di Epano Koufonissi, e magari anche dell'isola gemella di Kato Koufonissi, e puntiamo decisi verso nord.
Impieghiamo la bellezza di oltre un'ora per coprire l'unico chilometro che ci separa dal capo settentrionale di Epano Koufonissi, arrancando sempre contro vento.
Le onde corpose e frangenti ci impongono di tenere sempre alta la soglia d'attenzione e gli spruzzi continui ci ricordano quanto brucia l'acqua dell'Egeo negli occhi.
Quando finalmente arriviamo al capo, chiedo ingenuamente a Mauro: "Andiamo avanti?" - "Ma certo!", risponde serafico. E così procediamo per un'altra ora abbondante lungo i tre chilometri del versante settentrionale dell'isola, battuto da onde ingrossate dal vento e tra le più alte che ci sia capitato di incontrare durante questo viaggio.
Saltellando continuamente tra le onde non abbiamo modo di osservare la costa: sappiamo che ci sono le famose piscine che occhieggiano da dietro la scogliera, che c'è anche una spiaggia incassata dentro una grotta passante proprio sul capo, dove stazionano a lungo tutte quelle persone appena scese dal caicco che ha attraccato al molo della baia di Pori e che, detto per inciso, è appena passato tra i nostri due kayak e la costa, praticamente a qualche metro dalle nostre pagaie e dalla scogliera!
Anche il resto della costa settentrionale è molto bello, alto e roccioso e con interessanti stratificazioni giallo-arancione che in altre circostanze sarebbe anche bello fermarsi ad osservare e fotografare. Ma noi siamo al momento troppo presi dal mare: perché certe volte, durante un viaggio in kayak, è bello dedicarsi, oltre che alla terra, anche soltanto al mare!
E il mare oggi si dedica a noi con una cura ed un'attenzione fuori dal comune!
Le onde sono alte, spesso anche oltre due metri, le più grosse di tutto il viaggio alle Cicladi, più grandi anche di quelle già grandicelle di Kimolos. Ma sono regolari, prevedibili, tutte molto panciute e rotonde, sempre frangenti ma sempre al traverso.
Ci richiedono spesso dei begli appoggi decisi e quando vedo Mauro in un appoggio alto, mentre un'onda più aggressiva delle altre gli sommerge completamente il kayak e lo trascina di lato per diversi metri, resto per un lungo istante col fiato sospeso. Poi lo sento borbottare che s'è bagnato i capelli e che l'ultimo shampoo è andato sprecato e capisco che è il solito vero unico lupo di mare con cui voglio continuare a navigare per i prossimi mesi!
E' un piacere pagaiare insieme: abbiamo gli stessi ritmi e l'intesa cresce ogni giorno di più.
Basta un cenno, uno sguardo, un gesto, per capire cosa succede all'altro: se uno rallenta, l'altro lo aspetta, se uno accelera, l'altro lo segue, se uno si distrae l'altro lo richiama all'ordine (indovinate chi dei due è quello soggetto a distrazione?!?). Soprattutto, manteniamo sempre una distanza di sicurezza che ci permette di restare a portata di voce e, anche in condizioni impegnative come quelle odierne, sappiamo tutti e due di avere ancora un buon margine di intervento in caso di necessità. Non superiamo mai i nostri limiti e non ci mettiamo mai in situazioni di pericolo (anche se ogni valutazione è sempre soggettiva ed ogni discussione in merito potrebbe durate intere giornate!)
Il versante occidentale dell'isola, invece, lo "scendiamo" in appena venti minuti: due chilometri in favore di vento e di onde, col mare di poppa piena che è una vera goduria!
Facciamo una breve pausa nel porto dei pescherecci e faccio questo strano ritrovamento sulla riva: dei bottoni bianchi con una piccola spina centrale che quando si stacca lascia un buchino nella parte interna, liscia e incavata, buchino che talvolta arriva fino alla parte esterna, rugosa e bombata. Chissà se c'è qualcuno che conosce l'origine di queste strane creature.
Poi, sempre col vento a favore, "scendiamo" anche il versante occidentale dell'isola di Kato Kaoufonissi, così da completare il periplo di entrambe le isole in senso antiorario.
Quando stiamo per terminare la "risalita" del versante orientale dell'isola, e passiamo per la seconda volta davanti alla chiesetta di Panagia, abbiamo la straordinaria fortuna di imbatterci in un matrimonio greco: due grandi caicchi carichi di invitati sono già attraccati al molo sotto la chiesa addobbata e poco dopo arriva dal mare anche il caicco più piccolo con la sposa. Indossa con orgoglio il suo vestito bianco, lungo e semplice come le antiche tuniche greche, con un drappo di tulle gettato su una spalla: se ne sta ritta accanto all'albero maestro, i lunghi capelli neri sciolti nel vento, e risponde con entusiasmo ai nostri saluti dal kayak. I matrimoni non mi hanno mai entusiasmato, ma questo mi emoziona fino alla lacrime, specie quando vedo che anche Mauro si profonde in applausi prolungati per la sposa del mare.
Ci attende una seconda traversata dello stretto tra Kato Koufonissi ed Epano Kufonissi, le due isole gemelle che abbiamo costeggiato con grande soddisfazione. Ripariamo nello stesso porto di pescherecci dove abbiamo fatto la sosta per il pranzo perché le altre baiette vicine al paese sono troppo piccole oppure troppo esposte. Il Meltemi stanotte non sembra avere nessuna intenzione di calare e noi troviamo un angolino riparato proprio a due passi da un taverna che sulle prime si presenta come la più kitch del viaggio ma che alla fine ci riserva tante belle sorprese, dai piatti saporiti ad una serie di conchiglie e di reperti marini, esposti come in un piccolo e curato museo, che mi tengono occupata per gran parte della serata.
Riesco anche a fare un furtivo lavaggio in bagno di tutto quell'abbigliamento tecnico ancora intriso di sale e torniamo alla nostra tendina con un bucato da stendere.
La notte stellata è preceduta dalla prima falce di luna rossa.
Stavolta, l'ingresso della tenda è rivolta verso Cassiopea.

L'arco triangolare di Kato Koufonissi
Il mulino vicino al porto dei pescherecci di Epano Koufonissi
Il campo nel porto di Parianos a Epano Koufonissi
La visita alla Chora di Epano Koufonissi
Un angolo riparato dal vento
Dopo aver messo piede sulle prime quattro Piccole Cicladi possiamo iniziare l'esplorazione di Keros...

Domenica 4 settembre 2016 - 73° giorno di viaggio
Limani Parianos - Limani Parianos, Epano Koufonissi (0 km)
Vento N 23-28 nodi (F6) - Mare molto mosso - Temperatura 24°C
Forse è il campo più brutto del viaggio, su un terrapieno sassoso in un angolo sporco del porto, ma è anche il più comodo per trascorrere l'intera giornata in completo relax alla Chora di Epano Koufonissi. E' la prima Chora che visitiamo a non essere arroccata su in montagna, lontano dal mare, ma ad essere invece adagiata a pochi passi dal porto turistico.
Mi sveglio al rumore del rasoio di Mauro: è bello sapere che c'è qualcuno già sbarbato e profumato pronto a prendersi cura di te.
Mauro in questo viaggio fa tutto.
Programma le traversate, controlla le rotte, salva le tracce, ricarica l'attrezzatura elettronica (compresa la mia), controlla che tutto funzioni a dovere, cura la manutenzione dei kayak e dei vari accessori, ripara le falle dello scafo, cucina quando non andiamo in taverna, compatta le scatolette per ridurre l'ingombro della spazzatura, sceglie il luogo migliore per il campo, spiana il terreno per avere un ripiano comodo per la notte, mi aiuta a montare e smontare la tenda quanto tira vento (praticamente sempre!), sistema i piedi ed i tiranti nel modo migliore possibile, tiene il conto dell'acqua che consumiamo e dei viveri che dobbiamo reintegrare, pensa alle ricariche telefoniche, seleziona e prepara le foto per il blog, rilegge con me le bozze del diario e si occupa di tutta un'altra serie di piccole cose che adesso non mi sovvengono ma che lui fa ogni giorno con la stessa precisione.
Io mangio, dormo e scrivo. E non potrei sentirmi più curata e coccolata!
Queste giornate di viaggio sembrano tutte uguali, ma in realtà sono tutte diverse.
Ci svegliamo più o meno sempre alla stessa ora, tra le sette e le nove del mattino, ma ogni giorno su una spiaggia diversa; facciamo colazione più o meno sempre con lo stesse cose, ma ogni giorno davanti ad una panorama diverso, che regala anche sapori diversi; ci imbarchiamo più o meno allo stesso orario, tra le undici e mezzogiorno, ma ogni volta è un imbarco diverso, quasi sempre di poppa ma in acque dalle tonalità sempre diverse; pagaiamo più o meno sempre con la stessa andatura, ma ogni giorno lungo una costa diversa o in una traversata diversa; facciamo una sosta per il pranzo più o meno sempre a metà giornata, tra le due e le tre del pomeriggio, ma ogni giorno in un diverso angolo di paradiso, quasi sempre in baie isolate e spiagge deserte, dove ci ritroviamo soli, nudi e felici; navighiamo più o meno fino al tramonto, in cerca di un campo adatto per la notte, ma ogni giorno è un campo diverso che ripaga sempre del piacere dell'esplorazione, anche quando non risponde esattamente alle nostre aspettative, perché l'imprevisto fa comunque parte del viaggio e della scoperta; montiamo la tenda più o meno prima di cena, mentre si accendono le prime stelle nel cielo, ma ogni giorno la luce della sera è diversa e diversa è la costellazione che si apre davanti alla nostra tendina; ceniamo più o meno con lo stesso menù, cous-cous al sugo (rosso piccante, genovese, alle olive) perché è facile e veloce e consuma poca acqua e poco gas, ma ogni volta c'è un gusto diverso perché diversa è l'atmosfera; ci addormentiamo più o meno sempre alla stessa ora, tra le dieci e le undici, qualche volta anche dopo mezzanotte, ma ogni notte è diversa dalle altre per il rumore del vento tra le piante o per il suono della risacca sulla battigia o per il profumi della macchia all'intorno.
Forse con l'arrivo dell'autunno qualcosa di tutto questo cambierà e dovremmo adattare i ritmi del nostro viaggio al nuovo ritmo della stagione entrante, ma quel che certamente resterà invariato è il piccolo rituale zen che rende le giornate di campeggio nautico davvero tutte uguali: il modo in cui sgonfiamo materassino e cuscino, in cui ripieghiamo vestiti e sacchi a pelo, in cui smontiamo la tenda (partendo sempre dai tiranti e finendo coi piedi ed i paletti), in cui stiviamo ogni cosa nei gavoni dei kayak (sempre nello stesso modo e nello stesso posto, millimetricamente calcolato e ricercato), in cui ci prepariamo per prendere il mare, in cui rabbocchiamo d'acqua il camel-bag da spalla ed in cui asciughiamo con la spugna l'ultima acqua residua nel pozzetto, in cui ripieghiamo ed infiliamo la mappa nel porta-carte stagno, in cui impugniamo la pagaia e pagaiamo per le ore successive.
E poi all'arrivo, altri piccoli rituali contrari e sempre uguali: issare i kayak sulla riva (adesso che il folletto-schiavetto ha preso a rispondere sempre più spesso ai miei richiami di aiuto), asciugare e aprire i tappi dei gavoni secondo una sequenza che per ognuno di noi è diversa ma che per ciascuno di noi è sempre uguale (Mauro parte da poppa, io da prua), liberare il ponte anteriore e lavare orologio, macchina fotografica e GPS, riporre le varie attrezzature nel pozzetto e chiudere i "boccaporti" (come abbiamo preso a dire quando arriva il momento di serrare il copri-pozzetto), lavarsi, asciugarsi e vestirsi per la sera, in modo diverso a seconda che si resti in spiaggia o si vada a cena in taverna, tirare fuori nello stesso ordine sotto-tenda, tenda, paletti ed ogni altra cosa per la notte, compresa la cucina da campo e le varie prelibatezze che solitamente aggiungiamo alla solita cena (loukoumi, biscottini al limone, bastoncini di sesamo e via dicendo), sistemare ogni cosa in tenda e dedicare lunghi momenti a ripensare alla giornata appena trascorsa prima di prendere sonno, di solito con un gran sorriso sulle labbra.
Oggi, per dire, facciamo tutt'altro.
Non rispettiamo quasi nessuno dei rituali di viaggio: appena svegli ci dedichiamo a delle piccole riparazioni fuori programma (la cerniera della tenda che continua a fare cilecca e il telo batik strappato in più punti), a ritirare il bucato della notte precedente e ad un taglio improvvisato di capelli perché la frangetta di Mauro gli arriva ormai sotto il naso.
Poi arriva il momento di una passeggiata verso il porto e nella Chora.
Se Schinousa è l'isola degli elicotteri, Epano Koufonissi è invece l'isola delle biciclette: c'è un centro per il noleggio proprio a due passi dal porto turistico e sono tutti in giro su due ruote, anche coi bimbetti sui seggiolini e persino con quelle nuove mountain bike iper-tecnologiche con le ruote grosse come un fuoristrada. Vanno su e giù per le poche strade asfaltate, cementate e sterrate e probabilmente impiegano poche ore per completare il giro dell'isola: ci fanno quasi venire voglia di pedalare per un po', perché anche da terra Epano Koufonissi sembra davvero molto bella.
Ma noi siamo alla ricerca della taverna adatta sia per un pranzo luculliano che per una cena altrettanto ricca, inframezzando l'attesa con dei dolci da leccarsi i baffi e dedicando l'intero pomeriggio ad aggiornare il blog: la troviamo al centro del paesino ormai poco animato perché è iniziata la bassa stagione, vicino all'unica chiesetta dalla tipica cupola dipinta di blu, con una vista panoramica sulla nostra isoletta preferita, Glaronisi, e sulla più alta, lontana e disabitata Keros, la nostra prossima meta.
Ci gustiamo ancora a lungo queste belle giornate tutte uguali e tutte diverse...

1 commento:

  1. I commenti su Facebook (4 settembre 2016):
    https://www.facebook.com/tatiana.cappucci/posts/1191465694207668
    Le Piccole Cicladi sono piccoli gioielli tutti da scoprire...

    Savina Sgarbi: Vacanze poco riposante ma idilliache

    Daniel Forcier: Vraiment super

    Toni Pusateri: Aspetto la pubblicazione di volumi dedicati...🎒📖📰

    Marco Valle: Complimenti e un saluto da Moneglia, buona continuazione!

    Anne Chardonneau: Merci de nous faire partager ces moments avec vous! C'st magnifique et c'est presque .... comme si on y était! Bonne "nave"

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