Akrotiri Sounion, Attica - Ormos Angalistros, Makronissos (11 km)
Vento NE 17-26 nodi (F5-6) - Mare mosso con onda da 0,9 metri - Temperatura 27°C
Avremmo forse dovuto rendere omaggio a Poseidone salendo fino su al tempio: il Dio del Mare non sembra aver gradito il nostro pur partecipato saluto dal kayak, perchè la prevista giornata di bonaccia è arrivata con una giornata di ritardo.
La traversata su Kea, quindi, si è trasformata in una doppia traversata con tappa forzata su Makronissos, l'isola intermedia, disabitata e brulla e su cui Stavros ci aveva vivamente sconsigliato di sbarcare: "C'era un carcere, un tempo, e adesso l'isola emana un'energia negativa", ci aveva detto convinto, mentre al ricordo gli tornava la pelle d'oca.
Noi facciamo di necessità virtù e per una notte conviviamo coi fantasmi di Makronissos. Complici una serie di eventi che hanno reso la giornata interessante ed impegnativa.
Ci siamo più volte svegliati nel cuore delle notte: per la prima volta abbiamo sentito freddo e ci siamo dovuti avvolgere nei sacchi a pelo, persino l'uomo di Ferro che di solito è molto meno freddoloso di me. Per riprendere sonno, ci siamo lasciati ammaliare dalla costellazione privata delle lucine in testa d'albero delle oltre trenta barche a vela alla fonda proprio davanti alla nostra tenda. Il risveglio definitivo è stato meno dolce del solito perché, per timore di "disturbare" gli ospiti del vicino resort, abbiamo puntato la sveglia alle 7 e abbiamo fatto sparire la tenda in meno di 10 minuti. Poi cincischiamo parecchio, come dice Mauro: colazione piena di comfort, accoccolati sui tronchetti levigati e sistemati all'ombra di un ginepro profumato, poco più in alto dei nostri Voyager, sempre di fronte al mare. Sul più bello, fa capolino una coppia di pennuti mai visti prima, una sorta di faraona cicciona con la maschera da bandito sugli occhi, rossa e nera fin dietro al collo, e col piumaggio sempre arruffato di un bel color caffellatte. Scattiamo un paio di foto ma, benché non sembri intimorita dalla nostra presenza, la coppia si dilegua in un baleno tra gli arbusti e corre via sulla scogliera, tanto che Mauro battezza la nuova razza come "Uccello-capra".
Poi anche lui si mette in marcia, ma in direzione contraria, per andare alla ricerca di acqua potabile. Io allora mi "regalo" una pratica yoga rivolta verso le rovine del tempio.
Quando ci stiamo preparando per partire, si stappa inopinatamente una bottiglia d'acqua nel gavone di poppa: devo tirar fuori tutto un'altra volta, asciugare e poi riporre ogni cosa al suo posto. Gli asciugatori che infiliamo sempre sul fondo dei gavoni assolvono egregiamente il loro compito ed assorbono la poca acqua fuoriuscita dalla bottiglia. E' l'ennesima occasione per risistemare il carico, che ora, dopo svariati tentativi, dovrebbe avere trovato la sua collocazione definitiva!
Nel mentre, si avvicina una coppia di giovani greci con un cane iperattivo che non la smette più di correre e nuotare e saltellare intorno ai kayak, senza mai alzare un granello di polvere: ci diventa subito simpatico, e ancor di più i suoi padroni che, con totale nonchalance, si rollano una canna e riempiono l'aria di aromi inebrianti.
Partiamo alle 11, allegri e sorridenti!
Qui nell'Egeo il Meltemi non ti concede il tempo di abituarti pian piano alle sue intemperanze: devi essere preparato sin dal primo giorno ad affrontare raffiche di 30 nodi su ogni capo. E pensare che noi volevamo iniziare gradualmente e, come per ogni altro viaggio, abituarci un po' alla volta a gestire il kayak nel mare mosso!
Oltre Capo Sounion, sul quale svettano le colonne di marmo del tempio di Poseidone, il mare ed il vento si fanno sentire subito. E da subito capiamo che le previsioni meteo anche per oggi sono sottostimate.
Mauro pagaia con la sua solita confidenza, come se non avesse mai smesso di navigare contro vento: il suo stile elegante non sembra mai subire nessuna variazione, neanche quando il Meltemi alza la voce. Io, invece, mi sento tornata una principiante: mi preoccupa tutto, il mare, il vento, la pagaia, la barca, il carico... Il Voyager è un kayak da navigazione, chiede mare e vento, chiede di scivolare veloce sulle onde, chiede di andare. Ma io lo tengo a freno, almeno per la prima mezz'oretta di traversata, quando ancora non è chiara la piega che prenderà questa giornata. Poi Mauro si avvicina, mi parla del più e del meno, della rotta tracciata sul GPS, della direzione da tenere, della foschia che rende tutto più distante ed indefinito, delle nuvole che coprono il cielo e rinfrescano l'aria, delle porta-container che passano al largo... Insomma, mi riporta coi piedi per terra, anzi in kayak, e mi invita a godere del "qui ed ora". Accetto il suggerimento e mi metto d'impegno a leggere il mare.
E proprio in quel preciso istante, quando entrambi volgiamo lo sguardo all'orizzonte, un esemplare mastodontico di Caretta caretta incrocia le nostre prue a pochi metri di distanza, nuota indifferente tra le onde e tira fuori la testa in maniera indolente almeno 3-4 volte. Non riusciamo a scattarle neanche una fotografia, impegnati come siamo a gestire il kayak nel vento. Quando si inabissa, decidiamo di portarci più al centro del canale che separa la terraferma dall'isola di Makronissos.
Devono esserci correnti di superficie non irrilevanti, anche se il portolano non ne fa menzione: noi stimiamo che siano almeno di 1,5-2 nodi, sia perché dobbiamo correggere di oltre 30° la nostra rotta e sia perché, anche quando cala il Meltemi, la nostra andatura di crociera rimane fissa ad appena 1-1,5 nodi, tanto che per coprire l'esigua distanza di 10 km impieghiamo circa quattro ore!
Le traversate sono una delle tante attrattive di questo viaggio. Pagaiare in mare aperto è sempre stato uno dei nostri piaceri più grandi: quando tutto è in movimento, bisogna trovare il giusto ritmo con il mare. Si impara a leggerlo, il mare, la sua trama fitta di mistero, il preludio carico di aspettative ed il lieto fine che (quasi) sempre accompagna ogni escursione. Stavolta il mare non è così facile da leggere: non appena si capisce la direzione e la frequenza delle onde e si inizia a pagaiare e a respirare in sincrono col sali scendi dell'acqua, qualcosa interviene a modificare l'equilibrio precario su cui galleggiamo. Un motoscafo che passa poco distante scompiglia le pagine del libro e bisogna ricominciare tutto d'accapo. Quando poi si ritrova un nuovo equilibrio, ecco che il vento gira, oppure cala o rinforza, e allora anche il mare cambia il suo profilo. Si deve ripartire alla ricerca della linea d'acqua da seguire e allora sono le correnti a rimescolare tutto. Per qualche tempo dobbiamo tenere d'occhio la costa lontana, quella appena lasciata e quella ancora da raggiungere, dobbiamo aggiustare più volte la rotta per evitare di derivare troppo e guardiamo spesso GPS, bussola e orologio per cercare di uscire da quel labirinto liquido. Infine, ritrovata la direzione e superata qualche secca, è la prossimità della scogliera rocciosa a scompaginare un'altra volta il libro che con tanta attenzione stavamo leggendo: oramai, però, siamo prossimi all'arrivo, già da qualche tempo riusciamo ad intravedere l'albero di una vela in rada e le finestre delle diroccate costruzioni in pietra ancora presenti sull'isola.
Sbarcare è come sempre molto bello, sospendere la fatica delle lettura un po' meno, ma domani potremo riprendere da dove abbiamo lasciato.
Una volta a terra, un ragazzone abbronzato e palestrato, capitano del motoscafo più grande tra quelli affiancati all'unica vela, si offre subito di aiutarci ad issare i kayak sulla spiaggia ripida e ci sommerge con le solite domande di rito (da dove venite, dove andate, dove dormite, quelli sono pannelli solari?). Rispondiamo molto volentieri, stupiti sempre un po' della facilità con cui da queste parti parlano sia l'inglese che l'italiano.
Ci dedichiamo poi ad amene attività da spiaggia: un pasto da leccarsi i baffi seduti accanto ai kayak, una pennichella sugli scogli in ombra, una "lavata di capo" con lo shampoo biodegradabile (la temperatura dell'acqua sarà pure di 26°C, ma quella da noi percepita sarà si e no prossima ai 12°C!). C'è pure il tempo per una passeggiata fino alla cappella ormai pericolante e per qualche foto lungo i sentieri che serpeggiano su per le colline brulle all'intorno (e che sono battuti da pecore bianche e nere che a decine transitano avanti e indietro all'ora del tramonto).
Prima che scenda la notte, e quando ormai la baia si è svuotata di ogni imbarcazione, Mauro monta la tenda e cucina per la prima volta da quando siamo partiti: pastina con passato di zucchine, insaporito con una spolverata di santoreggia raccolta appena più in là della tenda, dove abbondano i cespugli ancora fioriti di piccoli fiorellini violacei su cui volteggiano tante farfalle dorate e maculate. Io scrivo il post fino all'ora di cena e non appena il sole tramonta dietro le rovine più alte ci infiliamo in tenda e ci prepariamo ad una notte insonne in compagnia dei fantasmi!
L'uccello-bandito che ci ha fatto visita a Akrotiri Sounion: che volatile è? |
L'omaggio dal mare al Tempio di Poseidone su Akrotiri Sounion |
Le capre-scalatrici dell'Isola di Makronissos |
Il nostro campo sulla bella spiaggia di Ormos Angalistros sull'Isola di Makronissos |
Cazzeggio mattutino... |
Il saluto dal mare all'Isola di Makronissos... |
Il nano-faro del capo meridionale di Makronissos |
Felici all'arrivo a Kea, dopo 17 km di traversata! |
Una delle baie solitarie del versante nord-occidentale di Kea |
Tramonto a Ormos Xila |
Ormos Angalistros, Makronissos - Ormos Xila, Kea (23 km)
Vento N 6-8 nodi (F2-3) - Mare calmo appena increspato - Temperatura 27°C
Ringraziamo i fantasmi dell'isola per aver vegliato sul nostro sonno: dormiamo 9 ore filate, senza nessuna interruzione!
Miglioriamo nettamente anche le nostre prestazioni: appena 3 ore per smontare il campo e ripartire, 3 ore di traversata, 3 ore in taverna all'arrivo a Kea e altre 3 ore per cercare e montare il campo per la sera.
La giornata di bonaccia potrebbe riassumersi così.
Ma c'è anche dell'altro: le capre scalatrici che attirano la nostra curiosità mentre facciamo colazione, il nano faro del capo meridionale di Makronissos che sembra quasi intimorito dalla vastità del mare su cui svetta, le berte maggiori che volano radenti sull'acqua quasi sfiorando i nostri kayak, i due traghetti che incrociano al largo tra le 5 porta-container, i vari motoscafi che sfrecciano in ogni direzione, compreso quello che deve avere infastidito la porta-container blu, che per ben due volte fa squillare 5 suoni di tromba (che nel linguaggio dei segnali marittimi significa letteralmente "cosa minchia stai combinando!?!")
Poi c'è anche il doversi ricordare di mettere la lingua davanti al ciuccio per evitare di strozzarsi bevendo dal camel-bag, il discutere animatamente sulla rotta da tenere perché sembra che qualcuno abbia nascosto le Isole Cicladi (la foschia è così fitta che già dal mattino non si distingue la linea dell'orizzonte tra mare e cielo), il correggere continuamente la direzione fino a quando non capiamo che la mia bussola è impazzita e segna sempre e solo 45°, anche se il GPS di Mauro riporta 105° e come prova del nove noi stiamo pagaiando esattamente sulla scia del sole, quindi verso Est (ci sarà qualcosa nel quarto gavoncino che distorce il campo magnetico rilevato dalla bussola: dovrò rimettere mano al carico per l'ennesima volta!)
C'è inoltre lo sbarco nella caletta di Ormos Pises, ai piedi di una vallata che la guida descrive come ricoperta di frutteti e che noi però fatichiamo a scorgere (come anche le rovine dell'antica città di Poieessa o la chiesetta costruita sul precedente tempio di Apollo), il pranzo nella taverna a pochi passi dai nostri due Voyager, i tre succhi di frutta alla banana che fanno coppia con le tre birre locali scolate da Mauro, la panna cotta offerta dal ristoratore quando scopre che arriviamo in kayak da Atene, un giretto alla ricerca di tabacco e frutta fresca, il market del piccolo paesino nascosto dietro le tamerici, i muretti a secco costruiti in un modo mai visto prima, con le pietre più grandi messe in verticale a creare spazi geometrici che forse servono anche per far passare vento ed acqua, chissà...
Aggiorniamo il blog comodamente seduti a tavola, in attesa che passino le ore più calde della giornata: abbiamo in programma di pagaiare alla ricerca di un'altra baia isolata e deserta, dove restare da soli - e probabilmente senza nessuna possibilità di ricezione del segnale di connessione internet, motivo per cui non è riportata la destinazione finale nella tappa odierna!
Insomma, ci attende un'altra mezza giornata di esplorazione: hella, hella!
P.S. Abbiamo pagaiato solo un'altra oretta, facendo salire a 23 i chilometri totali percorsi.
Dalla carta dell'isola sapevamo di incontrare almeno 5 spiagge di sabbia, incastonate nel fondo di baiettte ridossate, ai piedi di vallate brulle che serpeggiano tra colline altrettanto brulle. Su questo tratto dell'isola ci sono solo strade sterrate ed un paio di calette sono accessibili soltanto a piedi, scendendo lungo sentieri ben segnalati e talvolta costeggiati da questi bassi muretti a secco così caratteristici sull'isola. Kea è anche famosa per i suoi sentieri escursionistici ed il retro della nostra mappa ne riporta ben 9, sia sulla costa che nell'entroterra, con percorrenze variabili dai 45 minuti alle 3 ore e mezza.
Noi scegliamo l'ultima della 5 spiagge, quella dove non passa né lo sterrato né il sentiero.
Siamo soli. Non abbiamo molta fame, visto che abbiamo trascorso mezzo pomeriggio a gozzovigliare in taverna: così ceniamo soltanto con uno yogurt greco arricchito di miele e noci.
Il tramonto infuocato sulla dirimpettaia isola di Makronissos è reso ancor più spettacolare da alcune nuvole basse che si tingono di arancione ed amaranto. La stellata notturna è talmente ricca che trascorriamo un'ora intera a ripassare le costellazioni conosciute e a cercarne qualcuna di nuova: abbiamo montato la tenda esattamente sotto al Drago.
Complimenti anche per lo stile letterario! Mi sembra di leggere un romanzo tra il Giulio Verne del Giro frl mondo in 80 giorni e un Folco Quilici. Buona continuazione.
RispondiEliminaCiao. L'uccello che avete fotografato è una Coturnice.
RispondiEliminaI commenti su Facebook (27 giugno 2016):
RispondiEliminahttps://www.facebook.com/tatiana.cappucci/posts/1142041119150126
Siamo sbarcati a Kea!
Andrea Bresil: Grandissimi 😃
Marco Garbetta: Scrivi benissimo, Tatiana, è un piacere leggerti!
Marina Delbene: Dalle tue parole sembra di essere con voi. Grazie per condividere le vostre emozioni con noi. Un bacio
Loretta Loretta Masiero: Io direi... che dovresti scrivere un libro... alla fine di questo viaggio. Usando quello che scrivi... mi sembra di percepire.. l'emozione del viaggio...
Sarei la prima acquirente del libro...
A volte mi vengono in mente le tue spiegazioni cartografiche alla Certosa...
Ciao...vi seguo...Loretta.
Emanuele Mattei: Siamo lì con voi. Grandi navigatori veri
Adri Gi: Fantastici racconti come sempre Tati!!!! L'uccello-capra e' una pernice!! ;)
[Tatiana Cappucci: Grazie, anche mia madre me l'ha scritto e m'ha dato della figlia degenere d'un cacciatore per non averla riconosciuta... :-)]
Adri Gi: Ahahahahaha
Simonetta Biagini: Bei racconti, bella avventura :D
Giuseppe Bonaccorso: Tatiana scrivi talmente bene da trasportarmi con voi durante la lettura! Vi seguiró tutti i giorni! Buon viaggio!
Carla Cappucci: non so cosa dire, racconto fantastico, vi ammiro aspetto il continuo, intanto Buon Viaggio
Marco Valle 🐬👍
Maria Calcagnini: ciao Tatiana. mi sa che diventerai una delle mie letture serali...
Danilo Tulone: Bellissimo racconto. Il nome del pennuto è Pernice chukar. ;)
Luciano Belloni: condivido l'attesa di un secondo libro, ma c'è ancora il primo che noi si vuole leggere. Grazie in anticipo e ... buon viaggio!