Panormos - Panormos, Tinos (0 Km)
Vento N 28-32 nodi (F7) - Mare agitato - Temperatura 18°C
Abbiamo spostato la tenda.
Il Meltemi è cresciuto nella serata di ieri e durante la notte ha fatto festa.
Abbiamo trovato riparo dietro la staccionata del piccolo centro velico del paese.
Riusciamo a dormire e non puntiamo la sveglia: facciamo colazione al bar che è quasi l'ora di pranzo. Fa freddo e tira vento: sembra una giornata tipicamente invernale!
Saliamo in autobus a visitare il villaggio vicino, Pyrgos, a cinque chilometri nell'entroterra, accoccolato in una gola dove il vento si insinua furtivo e ad ogni passo cerca di farci lo sgambetto. E' difficile procedere controvento anche a terra, non solo in mare.
Pyrgos è famoso come il paese degli scultori del marmo ed è un museo a cielo aperto di arte marmorea tradizionale: tutte le case e le chiese sono decorate con inserti di marmo bianco sulle porte, sulle finestre e sui balconi. Sono i tipici spiragli di marmo, chiamati "yperthyra", di forma quadrata o semicircolare, usati non solo per abbellire le facciate ma anche per ventilare ed illuminare l'interno delle abitazioni. Si trovano piastrelle incise ad arte anche sui fontanili, sulle scalinate e sui muretti divisori: le più belle e strane sono le formelle inserite qua e la lungo i vicoli lastricati.
Le cave di marmo non sono lontane e pare che i marmi bianchi e verdi di Tinos siano diventati talmente famosi da essere stati utilizzati per le decorazioni del Museo del Louvre e di Backingham Palace. Secondo la tradizione, confermata anche da reperti archeologici, fu Fidia, il più illustre tra gli scultori del mondo greco, ad insegnare i segreti del marmo agli abitanti di Tinos: artisti tiniesi vennero impiegati anche nella costruzione dei templi della vicina isola di Delos. Pare che a fine Ottocento vivessero sull'isola di Tinos oltre mille tra scultori, artigiani e tecnici delle cave di marmo. La tradizione scultorea si è tramandata di generazione in generazione, formando anche artisti di fama internazionale, tanto che oggi c'è una rinomata scuola locale dove i giovani dell'isola possono studiare arte, disegno e scultura.
In paese e nei dintorni è tutto uno sfoggio di marmi lavorati con figure di pesci, delfini, sirene, stelle marine e velieri tra i marosi, ma anche stelle e soli e uccelli e finestrelle e archetti ed intrecci complessi. Anche i lavatoi sono completamente rivestiti di marmo ed in centro ne troviamo uno molto grande e molto bello che sembra essere stato usato fino a pochi giorni fa. I laboratori artigiani sono disseminati per tutto il paese e si possono visitare anche mentre gli artisti sono al lavoro. Ci sarebbero anche tre o quattro musei, ma oggi li troviamo tutti chiusi. Ottimo motivo per trascorrere il resto del pomeriggio rintanati nel caffè più bello del paese, affacciato sulla piazzetta centrale in cui campeggia un platano secolare, sotto il quale sono sistemati i tavolini degli altri bar. Non c'è quasi nessuno, incontriamo solo una famigliola francese, in vacanza come noi fuori tempo massimo, coi vestiti troppo leggeri per queste giornate uggiose.
Scendiamo verso il porticciolo di Panormos quando ormai è l'imbrunire.
Scendiamo a piedi, giusto per avere una valida scusa per tornare a cena nella nostra taverna preferita. Non facciamo in tempo ad entrarci che un signore panciuto del posto ci avvicina: si ripete la scenetta di qualche giorno fa nel porto di Korthiou, ad Andros, con l'omino che ci faceva una domanda dietro l'altra e ad ogni nostra risposta mostrava un crescente stupore. Anche stasera il pescatore locale ci chiede quanti chilometri pagaiamo ogni giorno (al momento nessuno!), quando pensiamo di ripartire (e chi lo sa!) e se abbiamo bisogno di qualche cosa (grazie, ma adesso vorremmo solo rivedere il sole!).
Il vento solleva così tante onde che il molo è sommerso di spruzzi. L'attività più impegnativa della giornata è proprio quella di attraversare la strada sul lungomare per raggiungere la spiaggia dove dormono i nostri due Voyager. Abbiamo sviluppato una discreta conoscenza dei ritmi del mare per evitare di bagnarci e per arrivare a destinazione asciutti e contenti...
Il nostro "nuovo" campo a Panormos |
In visita a Pyrgos, il paese degli scultori del marmo |
Le decorazioni dei vicoli lastricati di Pyrgos |
Uno dei lavatoi di Pyrgos |
Una delle famose "yperthyra" sulle porte di case e di chiese a Pyrgos |
Mercoledì 26 ottobre 2016 - 125° giorno di viaggio
Panormos - Panormos, Tinos (0 Km)
Vento N 25-31 nodi (F6-7) - Mare agitato - Temperatura 18°C
Il Meltemi ha squassato ininterrottamente le tamerici intorno al nostro campo e ha fatto tintinnare le cime dell'albero dell'unico catamarano del centro velico. La staccionata è alta esattamente quanto la nostra tendina, che ha superato indenne la notte, lasciandoci dormire sonni profondi.
Altra colazione al bar, altro giro in autobus nell'entroterra, altra cena in taverna.
Torniamo a visitare la Chora di Tinos, riuscendo a prendere quella corsa che giorni addietro avevamo perso: stavolta è in senso contrario, da Panormos alla Chora.
E' un'ottima occasione, che cercavamo da tempo, per visitare l'entroterra dell'isola.
La cosa che ci lascia a bocca aperta, più ancora da terra che non dal mare, è la stretta successione di muretti a secco che corrono su e giù per tutti i rilievi dell'isola e quegli straordinari terrazzamenti che hanno in parte modificato l'aspetto di Tinos, trasformando i dolci declivi in perfette gradinate. Perfette almeno lo erano nel passato, visto che ormai sono quasi del tutto abbandonate, lasciate al pascolo di capre, pecore e mucche: solo raramente, e per lo più nascosti nelle gole più protette, alcuni appezzamenti sono coltivati con piccoli orti casalinghi o con aranceti, limoneti e vigneti, circondati da canneti che, quando spira il Meltemi, suonano come in un concerto di nacchere. Le varie frane hanno fatto crollare i muretti, hanno rovinato il lavoro secolare degli uomini e stanno riconsegnando l'isola al suo aspetto originario, una distesa di pietre rossastre e radi arbusti piegati dal vento.
Ah, il vento: appena scendiamo alla fermata della Chora di Tinos, il Meltemi sembra sparito del tutto, nascosto dietro la catena montuosa che separa la costa settentrionale, dove siamo bloccati da giorni, da quelle meridionale, dove speriamo di poter arrivare domani!
Il sole splende alto nel cielo e rende la passeggiata sul lungomare della Chora una vera delizia. Ci fermiamo in una delle varie agenzie marittime per chiedere informazioni dettagliate su come spedire alcuni dei miei "preziosi ritrovamenti" ad Atene, dove il mitico Manolis si è offerto di ritirarli: è lui che ci ha suggerito di caricare il pacco sul traghetto invece che spedirlo per posta, è più economico, veloce e sicuro. L'unico problema è rappresentato dal fatto che devo essere io stessa ad imbarcarlo sul traghetto delle 15... mentre il nostro autobus per rientrare a Panormos parte alle 14! Dovrò attendere qualche giorno ancora.
Mentre torniamo in autobus ai nostri kayak ragioniamo sulla facilità con cui riusciamo a riempire le giornate, anche quelle in cui non possiamo pagaiare: questo lungo viaggio alle Cicladi è anche un lungo viaggio interiore alla scoperta della nostra dimensione ideale, anche quando non siamo in kayak.
Stasera andiamo a letto presto, appena fa scuro: dobbiamo essere pronti per domani!
Il lungomare di Panormos |
Prove generali di partenza |
Abbigliamento invernale e nord-ovest bel calcati in testa |
Il mare nel golfo di Panormos verso l'isolino del faro |
Giovedì 27 ottobre 2016 - 126° giorno di viaggio
Panormos - Panormos, Tinos (10 Km)
Vento N 17-20 nodi (F5) - Mare molto mosso - Temperatura 18°C
Si riparte!!!
Anzi no, si torna a terra!!!
Scopriamo che Tinos, secondo la leggenda, è stata l'isola natale di Eolo, il dio del vento.
Il Meltemi, che soffia da giorni, ha gonfiato il mare: l'orizzonte è ondulato e dalla spiaggia, ancor prima di salire in kayak, vediamo le onde che separano il cielo dal mare.
Il vento si è attenuato ma il mare non sembra ancora essersene accorto.
Ci decidiamo lo stesso ad imbarcarci: ci vestiamo per la prima volta con l'abbigliamento tecnico invernale, compreso il nostro bel cappello nord-ovest, necessario oggi perché minaccia pioggia. Necessario anche per proteggerci dagli spruzzi, perché una volta fuori dal golfo ci accorgiamo che i frangenti sono più frequenti di quanto non pensassimo (e di quanto ci era possibile vedere da riva).
Le prime pagaiate ci permettono di riprendere confidenza con i Voyager e con il movimento ondulatorio del mare: nella baia interna di Panormos, protetta dall'isolino del faro, le acque sono tranquille, anche se nere per la giornata coperta, e anche se spianate di tanto in tanto dalle raffiche che si insinuano lungo le vallate adiacenti.
Ci guardiamo convinti di poter proseguire.
E così facciamo per altri cinque chilometri.
La costa rocciosa corre alta ed impervia per tutto il versante settentrionale dell'isola. Ci separano ben venti chilometri dal faro del capo nord-est. La nostra idea è di raggiungere la Chora di Tinos, e quindi di pagaiare anche lungo il versante orientale dell'isola, sperando di sfruttare i venti da nord che in quel tratto dovrebbero spingerci di poppa. Ci accorgiamo ben presto che il nostro programma deve essere rivisto.
Più ci allontaniamo da Panormos e più le onde diventano alte. E quasi tutte frangenti.
Ci sono momenti in cui vedo Mauro salire su collinette d'acqua di almeno tre metri e poi ridiscendere in un confusione di acqua bianca e spruzzi in ogni direzione. Io penso con convinzione sempre più flebile che si tratta solo di acqua che sale e acqua che scende. In realtà, è acqua che sale un po' troppo e che scende un po' troppo. E che spesso ci precipita addosso!
Teniamo duro, speriamo che si tratti soltanto di bassi fondali in prossimità dei capi più pronunciati, dove il vento si insinua creando turbolenze particolari ed imprevedibili. E così cerchiamo di raggiungere anche il capo successivo, quello che risalta per il verde brillante delle sue scogliere. Ma non ci arriviamo. Non oggi, almeno.
Il mare si ingrossa, le onde crescono, il vento rinforza.
Siamo costretti ad appoggiare sempre più spesso sui frangenti sempre più numerosi.
E' una continua gimcana tra le onde, per cercare di evitare quelle più alte, rallentando o accelerando l'andatura per portare i Voyager lontani dalle creste più ripide. Ma sono quasi tutte pronte a frangere. Molte si abbattono sui nostri kayak. I cappelli nord-ovest non sono sufficienti a reggere l'assalto delle onde. Le giacche d'acqua "storiche" sono già tutte bagnate e hanno persino colori più vividi ed intensi, pure sotto il cielo che permane scuro e nuvoloso. I paraspruzzi finiscono più volte sott'acqua perchè il mare sembra divertirsi a salirci sopra.
Non sarà facile affrontare questo mare fino al faro per i prossimi venti chilometri.
Ci interroghiamo a lungo sulla durata della tappa odierna, perché la velocità di crociera sembra attestata sotto i due nodi. Abbiamo anche altre perplessità: ci sono alcune baie aperte sulla costa nord dell'isola, ma sono tutte impraticabili, col mare che entra diretto fino a riva, creando di certo ampie zone di surf. Le altre spiagge sulla costa est sono probabilmente molto esposte, sia alle onde che al vento. Di tutte non conosciamo bene le caratteristiche, se non quelle che ci è dato intuire dalla lettura della mappa nautica.
Pensiamo e ripensiamo a cosa fare.
Quando però vedo Mauro sommerso da un frangente, in appoggio alto per qualche secondo che a me sembra un'eternità, col solo cappello giallo che spunta appena tra la schiuma, allora la decisione è presa all'istante: si torna indietro!
Ci guardiamo più volte per controllare di stare bene, Mauro mi urla da lontano che è già il terzo frangente che affronta in appoggio alto, io gli urlo di rimando che mi sembra un mare troppo grosso e troppo aggressivo: siamo d'accordo di dover rientrare a Panormos!
E' la prima volta che ci capita di dover tornare sui nostri passi e sulle nostre pagaiate: mai prima, né durante questo lungo viaggio alle Cicladi, né durante uno dei nostri precedenti viaggi a zonzo per il Mediterraneo, mai ci era toccato in sorte di dover fare dietro-front.
Doveva spettare al Meltemi, il re di tutti i venti, di bloccare la nostra avanzata.
Le prue adesso sono rivolte non più verso est ma verso ovest, le onde arrivano non più da sinistra ma da destra, il vento non soffia più al giardinetto ma al mascone. E' tutto cambiato in un attimo. Dobbiamo ancora una volta riprendere confidenza col kayak, col vento e col mare.
Rientrare a Panormos è quasi più difficile di quanto non sia stato poco fa allontanarsi dalla sua spiaggia. Impieghiamo più tempo a tornare indietro di quando non ne abbiamo impiegato per raggiungere il capo in subbuglio. Gli stessi cinque chilometri sembrano essersi dilatati. L'isola del faro è lì ma sembra irraggiungibile.
Ancora appoggi, ancora spruzzi, ancora schiaffi.
Mauro ed io continuiamo a scomparire tra i flutti, a tempi alterni ma troppo spesso.
Facciamo bene a rientrare: una cosa è uscire in mare per fare esercizi, lungo una costa conosciuta e familiare, un'altra è affrontare il mare lungo un percorso sconosciuto ed impegnativo. Siamo consapevoli che non ci sono sbarchi praticabili per i prossimi venti o più chilometri. Un viaggio di esplorazione significa anche questo: saper proseguire quando è possibile e sapere rinunciare quando è impossibile.
Man mano che, lentamente e faticosamente, ci avviciniamo al golfo di Panormos, le onde si spianano, il vento si attenua ed il freddo si fa sentire sempre di più.
Appena mettiamo piede sulla stessa spiaggia dalla quale siamo partiti appena tre ore prima, le raffiche ci raggiungono con violenza e ci impongono di velocizzare tutte le operazioni di sbarco: posizioniamo i kayak negli stessi invasi, ci cambiamo sullo stesso scalino di marmo, stendiamo l'abbigliamento sullo stesso filo e... ci rifugiamo nella stessa taverna!
In pochi minuti riprendiamo temperatura.
Rimpiangiamo le nostre calde ed asciutte mute stagne: sarebbe tutt'altra musica in loro compagnia. Capiamo una volta di più quanto sia vero che, a parità di condizioni e di capacità, una buona attrezzatura possa davvero fare la differenza.
Torniamo a consultare le previsioni meteorologiche per l'ennesima volta: sono confermate altre giornate di venti forti da nord e temiamo di dover restare ancora per alcuni giorni a terra...
In visita a Tarambados, il villaggio delle colombaie |
Una delle prime colombaie che avviciniamo |
La vallata di Tarambados |
Una delle colombaie più grandi e più antiche |
Venerdì 28 ottobre 2016 - 127° giorno di viaggio
Panormos - Panormos, Tinos (0 Km)
Vento N 24-27 nodi (F6) - Mare agitato - Temperatura 17°C
Lasciamo la tenda montata dietro la staccionata del centro velico.
Da quando abbiamo iniziato questo lungo viaggio alle Cicladi abbiamo sempre montato al tramonto e smontato all'alba (o quasi): oggi è la prima volta che scegliamo di non smontare! Il luogo è talmente riparato e sicuro e noi siamo diventati quasi parte dell'arredo urbano, che non si sembra necessario levare i picchetti e sganciare i paletti e piegare i teli e ripiegare ogni cosa e riporre tutto nei gavoni dei kayak. Usciamo dalla tenda e andiamo a fare colazione al bar.
Oggi torniamo a Pyrgos...
Saliamo a piedi, scendiamo a piedi e restiamo l'intero pomeriggio rintanati nel nostro bar preferito.
Oggi non siamo i soli perché qui in Grecia è festa nazionale: è il "Giorno del No", che ricorda l'orgoglio greco per il rifiuto del primo ministro Metaxas di consegnare la Grecia all'Italia di Mussolini durante la seconda guerra mondiale. Ci sono famiglie intere che occupano i tavolini dei vari bar affacciati sulla piazzetta centrale e si respira un'aria completamente diversa rispetto a qualche giorno fa, quando eravamo i soli a girare per il paese. Ci sono manifesti inneggianti alla pace appesi al platano secolare e alle porte delle chiese vicine e sembra davvero un giorno molto sentito: i bambini sono vestiti a festa, i vecchi sono seduti a giocare a backgammon e a fumare, i giovani sono riuniti in gruppetti e chiacchierano allegri e rilassati. Sono tutti fuori casa, come in gita fuori porta.
Queste lunghe giornate di sosta forzata a terra ci stanno facendo scoprire in maniera del tutto imprevista un aspetto delle Cicladi che da tempo volevamo appurare: come scorre la vita in inverno, o almeno fuori dalla stagione turistica, per capire se una di queste meravigliose isole possa fare al caso nostro (sono anni che Mauro sogna di potersi trasferire in Grecia!).
Tinos si è svuotata di turisti e le taverne sono piene soltanto di greci, isolani che escono la sera oppure ateniesi che tornano ad aprire la seconda casa al mare. Durante questo lungo fine settimana ci sono pulman turistici che girano in lungo ed in largo per tutta l'isola e sulle strade che segnano le colline interne corrono molte più auto del solito, la maggior parte prese a noleggio. I negozi sono chiusi ma i musei di Pyrgos che l'altro giorno avevamo trovato chiusi oggi hanno aperto le porte per accogliere le comitive di turisti locali. Oggi è una giornata eccezionale ma nelle altre c'è poca gente che passa per le strade o entra nei caffè del centro o del lungomare.
Anche se l'inverno non è ancora iniziato, qui la vita sembra scorrere tranquilla e rilassata quando i turisti se ne vanno insieme alla stagione estiva.
Mauro si lascia scappare che vivere su un'isola in questo periodo non gli dispiacerebbe affatto: ed io allora devo riprendere in considerazione l'ipotesi di imparare a parlare il greco!
Scopriamo anche di essere dei turisti molto abitudinari: torniamo sempre negli stessi posti.
Anche per mangiare: se un locale ci piace per l'atmosfera rilassata e per il menù variegato, se ha degli arredi interessanti ed un divanetto accogliente, se c'è poco gente e se la cordialità è di casa, allora quello è il nostro locale preferito. E non ci importa poi molto di "sperimentare" anche i locali vicini, per provare qualcosa di diverso: andiamo a colpo sicuro ad occupare il nostro "solito" tavolo nell'angolo.
Mentre sorseggiamo il nostro "solito" caffè frappè, riflettiamo su un altro paio di cose.
La connessione internet, una delle tre costanti dell'universo, qui a Tinos, diversamente da altre isole Cicladi, è molto buona e non è mai stato difficile accedere ai siti di nostro interesse. Tutte le taverne hanno un'ottimo servizio wi-fi ed è molto facile accendere il cellulare, cercare la rete locale, chiedere la password, inserire i dati e restare collegati per ore ed ore. Possiamo così, facilmente e ripetutamente, controllare le previsioni meteorologiche, la nostra fonte di informazioni per decidere se restare a terra o se riprendere il mare (in questi giorni sembra ci sia una sola possibilità: restare a terra!). Affrontare la navigazione con questa abbondanza di notizie è molto confortante: abbiamo dati abbastanza attendibili sulla forza del vento, lo stato del mare, l'altezza delle onde, la temperatura dell'aria e dell'acqua, il rischio di pioggia o di tempesta...
La facilità di accesso ad internet ci riserva anche qualche altro vantaggio.
Ci tiene in contatto con parenti ed amici, e durante un viaggio così lungo non è cosa di poco conto: non abbiamo ancora cominciato a soffrire di nostalgia e forse è proprio grazie ai ripetuti messaggi scambiati su Facebook o su Whatsapp; non abbiamo dovuto tagliare i ponti con nessuno, neanche con i colleghi di lavoro, tanto che da quaggiù riesco ad organizzare corsi di kayak per la prossima stagione invernale; non abbiamo alcun problema nel sentire amici lontani, come se fossero qui dietro l'angolo, e a chiedere e a dare aggiornamenti sulle nostre rispettive vite... Insomma, viviamo al tempo stesso il "qui ed ora" del viaggio intenso e coinvolgente ed il legame per quanto flebile col resto del mondo.
Internet ci permette anche di approfondire alcuni argomenti di comune interesse o di stringente attualità. Sia mentre aggiorniamo il blog dedicato al viaggio, sia mentre chiacchieriamo a tavola o in tenda (in kayak ci capita molto meno, presi come siamo a gestire il mare!), ci ritroviamo spesso a voler approfondire qualcosa di più su questo o quello: abbiamo per esempio scoperto che il "tachini", uno degli ingredienti dell'hummus, la salsa di ceci diffusa in Grecia ed in Medio Oriente, è una pasta di semi di sesamo bianco che viene tostato, triturato ed allungato con olio di sesamo "fino a formare una pasta simile al burro di arachidi ma di consistenza più fluida" (da Wikipedia!); oppure abbiamo capito che le farfalle non vivono un giorno soltanto ma fino ad un paio di settimane e, a seconda delle specie, anche per alcuni mesi (e quelle delle Cicladi devono essere particolarmente longeve perché continuano a volare intorno ai nostri kayak); o ancora, abbiamo imparato che il marmo verde di Tinos è proprio un marmo di colorazione speciale e conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo.
Per non parlare dei vari terremoti, colpi di stato, referendum e via discorrendo.
Anche quando siamo a cena possiamo cercare gli ingredienti di ogni piatto tradizionale e scoprire dalla ricetta se saremo o meno in grado di riproporla ai nostri amici una volta tornati a casa...
Al termine della nostra visita di Tarambados |
In esplorazione lungo i sentieri di Tarambados |
Di ritorno alla fermata dell'autobus per Panormos |
La barca si chiama Meltemi! |
Sabato 29 ottobre 2016 - 128° giorno di viaggio
Panormos - Panormos, Tinos (0 Km)
Vento N 24-28 nodi (F6-7) - Mare agitato - Temperatura 16°C
Oggi invece andiamo a visitare Tarambados, un paese al centro dell'isola divenuto famoso per le sue numerose colombaie.
L'isola di Tinos vanta oltre 600 cappelle tra ortodosse e cristiane (anche se non abbiamo capito come distinguere le une dalle altre) e circa 90 mulini ad acqua e a vento (molti dei quali sono andati distrutti e soltanto una decina ha resistito all'assalto del tempo). Il numero più impressionante, però, è quello relativo alle colombaie: ce ne sono più di mille!
Le prime sono state costruite durante la dominazione veneziana ed erano un privilegio esclusivo dei vari signori e signorotti, simbolo della loro ricchezza e nobiltà, tanto che avevano addirittura ottenuto un diritto speciale riconosciuto a livello europeo, il "droit de colombiers". Nei secoli successivi, specie durante il XVIII e XIX secolo, le colombaie sono state realizzate anche dai contadini locali e possederne una dava prestigio sociale. Se ne trovano molte nelle vallate protette dai venti, vicine a fiumi e torrenti e a campi coltivati, così i colombi trovavano e trovano con facilità sia acqua e cibo sia il modo di tornare al nido.
Le colombaie di Tinos, come quelle delle altre isole Cicladi e a differenza delle famose colombaie a torre del Salento italiano, sono costruzioni in pietra di ardesia imbiancate a calce, di dimensioni modeste, con un'unica stanza interna, per lo più quadrata, con una porticina aperta in basso e con due piani sopraelevati: quello inferiore è usato come ripostiglio per gli attrezzi della campagna e come cantinola per i prodotti agricoli, mentre quello superiore accoglie le nicchie interne per fare nidificare le coppie di colombi. I nidi sono sistemati a qualche metro da terra, sopra pareti lisce prive di scale, per evitare che i vari predatori (gatti, tipo e serpenti) possano raggiungere le uova.
Le colombaie di Tinos sono decorate con i cosiddetti "ricami architettonici", lastre di scisto che formano rombi e triangoli e segni particolari, come soli, ruote e cipressi. Le decorazioni costituiscono anche dei piccoli ripari esterni dove i colombi possono atterrare oppure prendere il volo. Anticamente i colombi erano apprezzati per le carni tenere e saporite, tanto che dalle Isole Cicladi erano esportate sott'olio o sott'aceto in tutta la Grecia e fino a Smirne e Costantinopoli, dove vivevano molti greci. Oggi che alcune colombaie dell'isola sono state restaurate (una guida parla di circa 140 colombaie riportate agli splendori di un tempo), i colombi sembrano essere lasciati liberi di volare sui campi intorno e non sembra che vengano allevati neanche per i loro preziosi escrementi, che contengono colombina, utile nella concia delle pelli.
Mentre noi visitiamo la vallata di Tarambados, il cielo nero e carico di nuvole scure si illumina a tratti del bianco brillante dei colombi di Tinos. Volano in gruppi numerosi e seguono tutti le stesse traiettorie, dalle colombaie ai campi, dai campi alle fonti. Accanto ad ogni colombaia, infatti, sono state costruite delle vasche ampie ed alte anche un paio di metri, alimentate dall'acqua che scende dalle sorgenti vicine: su alcune troviamo disposte in bell'ordine delle canne per far posare i colombi senza pericolo di essere raggiunti dai predatori.
In tutta la vallata c'è un'atmosfera rilassata e tranquilla. Aleggia un intenso profumo di aranci, limoni e mandarini e lungo uno dei sentieri più impervi troviamo delle querce che producono ghiande racchiuse in un cappello particolare, tutto pieno di piccole scaglie che lo fanno sembrare decorato come le colombaie.
E' ora di rientrare: aspettiamo l'autobus alla fermata dove ci ha scaricato all'andata. Insieme a noi, giungono trotterellando un bel gatto maculato in cerca di coccole e che subito prende a farci le fusa, ed un grande mucca bianca e nera che per fortuna prende presto un'altra strada.
Rientriamo alla base: la nostra taverna preferita è già aperta e ci accoglie per il resto della giornata.
Domani riproviamo a prendere il mare, Meltemi permettendo!
I commenti su Facebook (29 ottobre 2016):
RispondiEliminahttps://www.facebook.com/tatiana.cappucci/posts/1238861376134766
Dieci chilometri andata e ritorno!
Toni Pusateri: CONRAD....😊
Sergio Nebuloni: Siete spettacolari!
Danilo Tulone: Urka! Che 126° giorno... L'ho letto con un pathos incredibile!
Marco Valle: Temerari!
Daniel Forcier: WOW et c'est près d'un zone protégé...
Steven Hayward: Superb. Paddled around Tinos and Andros last year. Fantastic trip. Have a good one.