Ormos Agali - Ormos Agali, Tinos (O Km)
Vento SW 4-6 nodi (F2) - Mare calmo - Temperatura 22°C
Abbiamo dormito sulla piattaforma di cemento del vecchio centro velico di Tinos.
Sembra ormai chiuso da tempo e tutto è ricoperto di polvere e di incuria, derive, alberi e cime, container e roulotte. E' un vero peccato perché ci sono ancora decine di barche che, abbandonate a pochi passi dal mare, sembrano chiedere soltanto di riprendere a veleggiare. E' alle porte della città, poco a sud del porto principale, nascosto dietro un promontorio su cui svetta un obelisco tozzo e grigio: sembra essere stato dimenticato, come se fosse troppo distante dal centro della vita cittadina, lontano dal via vai della Chora.
Noi che da giorni desideriamo una colazione al bar, ritorniamo in città per gustarci ancora una volta il caffè frappè di cui siamo ghiotti: stavolta però lo chiediamo senza ghiaccio!
Ne approfittiamo anche per fare la spesa. Il supermarket vicino al porto mostra i chiari segni di fine stagione, con gli scaffali quasi del tutto vuoti: sono le stesse commesse riunite a chiacchierare intorno all'unica cassa aperta che ci indicano un market più rifornito nel centro storico, dove per fortuna troviamo tutto quel che ci serve (tranne il cous-cous!)
Camminiamo decisi sul lungo mare per tornare ai kayak e caricarli dei nuovi acquisti.
Non appena terminiamo il puzzle dei nuovi incastri, riuscendo ancora una volta a trovare lo spazio per ogni cosa (sembra sempre una magia!), Mauro si accorge di non avere più il portafoglio!
Controlliamo ovunque, smontiamo il puzzle, sperando di trovarlo seppellito in kayak, e poi lo rimontiamo, perché del portafoglio non c'è traccia!
L'ha perso per strada, oppure l'ha dimenticato al bancomat: mentre lui si occupava del prelievo di contanti, io mi lasciavo irretire dai ricci longispinus abbandonati a decine sul molo, vicino alle reti gialle ed arancioni che i pescatori erano ancora intenti a pulire.
Dobbiamo correre di nuovo al porto, sperando di ritrovare il portafoglio sulla mensola del bancomat. Ma non c'è! Entriamo nella filiale della banca per chiedere, senza grandi speranze, se per caso è stato ritrovato un portafoglio nero. Le cinque impiegate si dilungano in un gran confabulare e dopo una lunga serie di "Ne Ne Ne", la ragazza a noi più vicina ci dice in inglese che si: è stato ritrovato! Ed è stato consegnato alla Guardia Costiera!
Incredibile!
La ragazza esce con noi dalla filiale per presentarci il vecchietto che ha ritrovato il portafoglio di Mauro. E' talmente gentile che ci accompagna alla Guardia Costiera ed aspetta insieme a noi che l'addetto rientri in sede (deve prima controllare l'arrivo e la partenza dell'ennesimo traghetto di linea). Così, invece di perdere l'intera giornata, come temevamo, alla stazione di polizia per compilare la denuncia di smarrimento dei documenti, passiamo buona parte del pomeriggio nella locale sede della Guardia Costiera per aspettare che ci venga restituito il portafoglio. Perfettamente intonso: non manca nulla!
Mauro inizia però una nuova cantilena: gli serve una badante. Una badante, precisa, che mentre lui è intento in operazioni bancarie non si allontani a cercare ricci!
Trascorriamo il resto della serata nella taverna vicino al porto, consumando in piatti tradizionali greci la somma che avremmo volentieri consegnato come ricompensa al vecchietto, che invece rifiuta deciso, come si addice alle persone perbene: "Così tornate a Tinos con piacere", ci dice in inglese "E la prossima volta legatevi il portafoglio al collo!" ci spiega a gesti.
Peccato aver perso una giornata di navigazione: oggi c'era una bella brezza da sud-ovest che ci avrebbe spinto facilmente verso nord lungo la costa occidentale di Tinos. Abbiamo però il tempo di visitare la Chora di Tinos, che Mauro subito classifica come la brutta copia di Loano, a suo dire la più brutta città di mare mai visitata. A me ricorda il lungo mare di Latina, che pure non è propriamente bello. Qui a Tinos le case sono alte 3-4 piani, squadrate ed ammassate senz'ordine, i colori sono molto vari e non c'è nessun richiamo all'architettura cicladica, neanche nei vicoli pedonali del centro, intasati di bancarelle per turisti e pellegrini.
Meno male che anche in cittadine tanto brutte ci sono persone tanto belle!
Ritroviamo il vecchietto del portafoglio ancora seduto sulla stessa panchina vicino alla banca e ci scambiamo grandi sorrisi. Torniamo ai kayak con passo più indolente, sia perché siamo più sollevati sia perché abbiamo come al solito mangiato tanto. Montiamo ancora una volta la tenda sulla stessa piattaforma di cemento: dobbiamo trovare il modo di tirantarla a dovere perché per la notte sono previsti venti in aumento.
I temporali autunnali sono imprevedibili e pericolosi, qui in Grecia come del resto anche in Italia: i nostri amici velisti svizzeri, Christine e Rodolfo, ci hanno scritto nell'ultima mail che il temporale che ci ha sorpreso a Mikonos e che ci ha spezzato un paletto, è diventato una vera e propria tempesta dalle parti di Atene e a Poros, dove loro sono arrivati incolumi, ha provocato molti danni a decine di imbarcazioni. Speriamo di scamparla anche stavolta...
L'inizio del puzzle |
Bomba calorica |
Le scogliere della costa occidentale di Tinos |
Le colline brulle di Tinos |
Un cornetto al pistacchio ripieno di crema... |
Mercoledì 12 ottobre 2016 - 111° giorno di viaggio
Ormos Agali - Ormos Agali, Tinos (O Km)
Vento SW 13-21 nodi (F4-5) - Mare mosso - Temperatura 22°C
Il vento è cresciuto durante la notte ma la tenda ha retto.
Al mattino il cielo è coperto e le raffiche sono già molto forti.
Controlliamo ancora le previsioni: ci sono più nodi del previsto, specie qui nel porto di Tinos, e quando li misuriamo con l'anemometro capiamo che anche per oggi ce ne resteremo a terra.
Il vento da ovest aggredisce la costa occidentale di Tinos e crea, oltre alle classiche onde frangenti, sempre molto irregolari, anche una corposa lavatrice, così che l'onda di ritorno sotto le scogliere arriva a confondere ancor di più la trama già rimescolata del mare mosso e grosso. Per una volta, la saggezza del marinaio prevale sul desiderio di avventura del viaggiatore.
Ad una giornata di navigazione bagnata e tribolata ne preferiamo una di riposo forzato in città.
Dobbiamo solo trovare un modo per occupare il tempo. E noi sappiamo sempre come fare.
Torniamo in porto con l'intenzione di prendere uno dei rari autobus che fanno il giro dell'isola, ma quello che raggiunge Pyrgos e Panormos all'estremità opposta è passato già da una mezz'ora, e l'unico che sale ai paesini dell'interno, famosi per le colombaie decorate, parte dopo le due del pomeriggio. Abbiamo così tutto il tempo di pranzare nella "nostra" taverna di fiducia vicino al porto e di attendere il passaggio per un giro turistico di Tinos. Quando torniamo alla fermata, ci sembra di essere catapultati in una grande metropoli: arrivano quattro autobus tutti insieme e tra la folla di studenti con gli zaini in spalla e di massaie con le ceste sotto il braccio (ceste di vimini, giuro!) non abbiamo tempo e modo di leggere le destinazioni, rigorosamente in greco, e così finisce che tutti gli autobus passano, caricano e ripartono, e soltanto noi restiamo a terra!
Un'intera giornata da occupare a Tinos, la brutta copia di Loano.
Fortuna che noi sappiamo sempre come occupare il tempo!
Saliamo per la strada che dal porto sale alla chiesa madre e per la prima volta notiamo il tappeto posto sul lato del marciapiede, lì fissato per favorire la salita dei fedeli che due volte all'anno vengono a fare penitenza percorrendo la distanza in ginocchio (tappeti morbidi, stendono gli ortodossi, che lusso!)
Scatto un paio di foto alle cose che più attirano la mia attenzione tra le varie esposte alla rinfusa sulle bancarelle, ricolme di icone, ceri d'altezza variabile ed ex-voto in latta: gli incensi che vengono bruciati lungo la via, di vari colori e diverse profumazioni, tutte molto intense e penetranti; gli stampi in legno per decorare il pane, realizzati a mano con le incisioni dei santi invocati e delle chiese visitate (molto belli, in legno chiaro ed in legno scuro: in una panetteria riconosciamo anche il pane sfornato con l'impronta di quei timbri... Non sarà di certo più buono ma sicuramente è più bello!)
Ci rifugiamo poi in una delle pasticcerie sul lungo mare con due propositi perfettamente compatibili: osservare le manovre di attracco dei traghetti di linea e delle barche a vela e degustare una discreta varietà di dolci fatti in casa e di gelati artigianali guarniti di croccantini e biscottini al cioccolato... Una doppia goduria, perchè mai ci stancheremmo di mangiare dolci e di guardare il mare!
Ci mettiamo un paio d'ore per riprenderci dalla bomba calorica, giusto il tempo di ammirare il tramonto sull'isola di Syros, la nostra prossima meta.
Quando finalmente torniamo ai nostri kayak, lasciati al sicuro presso la vecchia lega navale della città, notiamo una serie di onde frangenti che entrano in perfetti semicerchi dentro la baia e che creano un rumore di sottofondo costante e conciliante. Ma speriamo che sparisca prima di domattina.
Il tramonto da Kavos Koukoulas su Giaros |
Il faro dello stretto tra Tinos ed Andros |
Stratificazioni interessanti ad Andros |
Le prime pagaiate lungo la costa occidentale di Andros |
I muretti a secco di Andros |
Giovedì 13 ottobre 2016 - 112° giorno di viaggio
Ormos Agali - Kavos Koukoulas, Tinos (23 Km)
Vento NE 6-9 nodi (F3) - Mare poco mosso - Temperatura 22°C
A parte Anafi, non abbiamo mai trascorso così tanto tempo nello stesso posto.
Per giunta dormendo su una piattaforma di cemento, per la quarta o quinta volta durante il viaggio, dopo quelle notti a Kimolos, Milos e Mikonos, e forse anche su qualche altra isola che adesso non ricordiamo più, tante sono diventate in quasi quattro mesi di navigazione.
Risaliamo in kayak dopo tre giorni di sosta forzata e sentiamo la "solita" insicurezza: i Voyager, benché carichi degli ultimi acquisti e degli ultimi "preziosi ritrovamenti", scodinzolano sulle onde e non sembrano volerci lasciare il tempo di riprendere confidenza con il mare, richiedono subito tutte le attenzioni dovute a delle imbarcazioni di lungo corso che da giorni sono in trepidante attesa di riprendere a navigare.
Le prime onde le incontriamo poco oltre il promontorio che ci separa dal porto di Tinos.
Ci sono pochi nodi di vento, il mare è calmo e l'aria è calda, ma siccome è finalmente entrato il Meltemi da nord, le raffiche creano i "soliti" giochi catabatici nelle gole dell'isola e sembra non vogliano far altro che precipitare dall'alto e caracollare in mare. Dove siamo noi, che fatichiamo ad avanzare sin dai primi metri...
Come prima giornata dopo le tre di riposo non c'è che dire: meno male che abbiamo le energie necessarie per contrastare le raffiche e per risalire il vento lungo la costa occidentale di Tinos.
Questo tratto dell'isola è roccioso ma privo di particolare interesse ed in prossimità dei paesi è stato costruito in maniera orribile: "Sono ancora dei dilettanti, rispetto a Mikonos, ma anche qui a Tinos quanto a cemento non scherzano" sbotta Mauro dopo pochi chilometri.
Si intravedono alcune macchie di ulivi sui vecchi terrazzamenti, probabilmente tutti abbandonati perché le piante sono molto diradate e disposte ad intervalli irregolari. Si vedono dal mare anche alcune delle 1200 cappelle disseminate su tutta l'isola e persino diverse colombaie: pare che ce ne siano ben 650 e sono una delle note caratteristiche di Tinos perché sono tutte ben conservate, imbiancate a calce o con un bel color sabbia, simili a palazzi in miniatura e decorate con motivi geometrici ornamentali o con simboli di alberi o del sole o ruote di carri, spesso ripresi anche per abbellire le facciate delle abitazioni moderne. I piccioni erano un tempo allevati non solo come messaggeri, specie durante la dominazione veneziana, ma anche per diversi altri motivi: questi uccelli fornivano infatti carne nei mesi invernali, concime organico per i campi e piume per imbottire cuscini e materassi. Si capisce bene perché le colombaie siano diventate quasi dei monumenti!
Facciamo una sosta in una caletta ridossata dal vento ed una bella gattina dal pelo fulvo ci viene a tenere compagnia durante il pranzo a base di pomodori e pane secco (e la piccola resta a bocca asciutta, per quanto miagoli e si strusci... ma quanto sono ruffiani e meravigliosi i gatti!)
Riprendiamo a pagaiare controvento per un altro paio d'ore, così da raggiungere l'ultimo campo utile sull'isola di Tinos: domani le previsioni danno vento da nord in aumento fino a 18-20 nodi e non sarà tanto facile raggiungere Andros per poi risalire la sua costa occidentale. La costa frastagliata dell'isola più settentrionale, infatti, sembra perfetta per far divertire il Meltemi nella vallate tra le montagne: quelle di Andros sono le più alte di tutte le Cicladi, le sole che d'inverno si coprono di neve, figurarsi se il Meltemi si lascia scappare l'occasione di giocarci in mezzo...
Sbarchiamo su una caletta che rientra ad uncino e che offre soltanto una spiaggia di ciottoli grandi come uova di struzzo. C'è una vecchia rimessa in pietra per le barche, danneggiata da una frana e parzialmente sommersa da grosse pietre verdi, come quelle che abbiamo incontrato e fotografato lungo l'ultimo tratto di costa rocciosa dell'isola. Sistemiamo i kayak tra i massi meno grandi e cerchiamo di ricavare un piano su cui montare la tenda tra i ciottoli policromi di tutte le dimensioni. E' un lavoraccio, che interrompiamo soltanto per ammirare il tramonto: speravamo fosse sul mare, invece c'è l'isola di Giaros che si mette in mezzo.
Mauro si sistema dietro uno dei massi più grandi precipitati giù dal monte e al riparo dal vento cucina un cous-cous greco che qui chiamano couscousaki e che col vero cous-cous non ha niente da spartire, perché assomiglia piuttosto ad una pastina a grana grossa che impiega un'eternità a cuocere. Il sugo concentrato è guarnito stavolta da una scatoletta di piselli e... non vediamo l'ora di ritirarci in tenda perché il vento, che la sera dovrebbe calare, continua a soffiare sulla cala e ad abbassare la temperatura percepita. Siamo intirizziti dal freddo: per la prima volta infiliamo i calzini di pile, anche se con le infradito sono davvero scomodi!
Le morbide colline di Andros |
Rocce bianche e verdi e muretti a secco ovunque |
Tramonto sul mare, finalmente! |
Il campo a Ormos Plaka su Andros |
La girandolina è quasi sparita! |
Venerdì 14 ottobre 2016 - 113° giorno di viaggio
Kavos Koukoulas, Tinos - Ormos Plaka, Andros (19 Km di cui 3 in traversata)
Vento N 10-12 nodi (F3-4) - Mare quasi calmo e poco mosso solo nello stretto - Temperatura 22°C
Oggi ci svegliamo tardi, oltre il limite della decenza, quando sono già suonate le 10 del mattino. Abbiamo dormito oltre dodici ore! E' il bello della stagione autunnale, prima dell'entrata in vigore dell'ora legale, quando le giornate sono ancora lunghe abbastanza per pagaiare a sufficienza e le sere arrivano così presto da rendere le notti lunghe e soporifere.
Nonostante tutto, però, siamo pronti a prendere il mare in "appena" tre ore.
Dobbiamo "scogliettare", non abbiamo scelta: le raffiche catabatiche sono talmente forti e ravvicinate da rendere impossibile un diverso tipo di navigazione. Dobbiamo restare il più attaccati possibile alla costa, cercare un ridosso vicino alle scogliere di scisto verde e bianco, pagaiare tra un giardino di roccia e l'altro. I nostri Voyager, di solito restii a questo gioco bizzarro, oggi sembrano particolarmente mansueti e non si ribellano più di tanto alle passate sugli scogli affioranti. Forse perché sentono avvicinarsi la traversata.
Tinos ed Andros distano appena due chilometri e lo stretto è occupato da un paio di isolette disabitate, una delle quali, la più centrale, è abbellita da un faro vero in muratura, con una cupola dipinta di bianco e qualche pietra di cornice a decorarne la facciata. Passiamo il breve canale mentre cresce il vento da nord, che in mare aperto ha già disegnato frangenti ravvicinati: anche le onde che si formano nel braccio di mare tra le due isole si ingrossano e si imbiancano. Noi le sfruttiamo con una bella andatura al mascone e con un traghetto perfetto che ci permette di raggiungere Andros in pochi minuti e senza troppi schizzi (abbiamo comunque entrambi indossato la giacca d'acqua perché cominciamo a sentire il fresco dell'autunno ormai inoltrato!)
Chissà se risalire la costa occidentale di Andros sarà così impegnativo come è stato su Tinos, dove il vento si infilava in tutte le gole e precipitava in mare con forza maggiorata ed attitudine dispettosa, come a volerci trattenere sulla più piccola delle due isole vicine. Come al solito, ci facciamo poche domande e non perdiamo troppo tempo a darci delle risposte: è il Meltemi a fare il bello e cattivo tempo, noi prendiamo quel che viene.
Su Andros, con sorpresa, il vento si placa.
Sarà forse per l'altezza considerevole dei suoi monti, che subito salgono ad oltre 300 metri e che al centro dell'isola raggiungono quasi i 1000 metri; o forse sarà per il vento che è previsto in aumento ma che non raggiunge una forza tale da scavalcare montagne così alte. Il Meltemi si limita ad accarezzare l'isola e a passare oltre, senza creare turbini o mulinelli. Soltanto quanto si apre una gola più pronunciata delle altre allora qualche raffica raggiunge il mare e lo increspa un poco, ma giusto delle piccole grinze per farci capire che non è andato del tutto a dormire.
E' per noi molto emozionante essere finalmente arrivati sull'isola di Andros: è la più settentrionale delle Cicladi Orientali e per lungo tempo ci è sembrata irraggiungibile, così in fondo alla lunga lista di isole da visitare e così in cima alla folta serie di isole da "risalire". Così lontana, per mesi, ed ora all'improvviso così vicina.
La cosa che subito ci colpisce di più di Andros sono i lunghi filari di muretti a secco che percorrono i suoi terreni spogli e bruciati dal sole: sono come quelli di Kithnos, con alcune pietre disposte in verticale a creare non solo un'alternanza geometrica molto affascinante ma anche un sistema di tenuta sicuramente molto efficace, a giudicare dalla lunga serie di vecchi muri che delimitano campi e terreni, un tempo coltivati ed ora purtroppo abbandonati. Solo di tanto in tanto si intravedono degli ulivi, ma come a Tinos sono ormai selvatici perché molto diradati ed evidentemente non più curati e potati.
Se nell'attraversare lo stretto tra Tinos ed Andros ci avevano accompagnato le berte, quegli uccelli eleganti che volano nel vento a pelo d'acqua senza mai battere le ali, ora sono i falchi a tenerci compagnia mentre "scogliettiamo" vicino alle alte pareti rocciose sulle quali hanno nidificato. E' sempre affascinante osservare con quanta decisione sono pronti a proteggere i nidi dall'intrusione delle cornacchie, che vengono allontanate con prontezza quando si avvicinano troppo ai piccoli implumi. Ci sembra tardi per avere i nidi occupati dai pulcini, ma l'atteggiamento delle varie coppie che intravediamo da sotto le scogliere è sempre lo stesso: non appena una cornacchia vola dalle loro parti, si tuffano in picchiata per allontanarla, costringendola ad un poco edificante dietro front. Poi riprendono a volare in tondo, anche loro senza mai battere le ali.
Ci distrae dallo spettacolo dei volatili una grotta che si apre su uno dei promontori più pronunciati, tutto picchi bianchi e verdi formati da questi marmi particolari che sulla terra ferma hanno dato origine a diverse cave a cielo aperto ancora sfruttate e che sulla costa hanno formato delle sculture naturali molto variegate ed attraenti. La grotta ha un'entrata bassa e scura ma vanta una grande finestra sul lato opposto ed un oblò aperto in alto, tondo come quelli sulle fiancate delle barche a vela.
Una cosa di Andros ci colpisce più di altre: sull'isola ci sono delle piante!
Ieri sera nella gola che si apriva sopra il nostro campo per una notte abbiamo intravisto un cipresso ed una palma, chissà come cresciuta su quelle vallate dirupate. Oggi cominciamo a notare qualche albero sulla cresta delle montagne e la sera ci tiene compagnia persino un eucaliptus. Nella vallata che sale su fino ai vari paesi di questo tratto dell'isola ci sono molte altre piante sempreverdi e Andros acquista un aspetto molto meno aspro e selvaggio delle sue sorelle più meridionali ed occidentali. Per certi versi ci ricorda l'Eubea, l'isola che separa Andros dall'Attica e che già si intravede sull'orizzonte a nord.
Montiamo la tenda sotto la tettoia di paglia di una casetta in pietra costruita proprio a due passi dal mare, nell'ampia ed accogliente baia di Plakas, dove le onde dei traghetti che numerosi incrociano al largo si smorzano prima di aggredire la corta spiaggia di sabbia e lastroni di scisto. La luna è quasi piena e, come ieri sera, disegna ombre sulle colline intorno: Mauro vede Paperina vestita a festa, io una strega, e la discussione sulle forme scure va avanti fino al momento di ritirarci in tenda...
Prima di entrare nel tunnel del vento... |
Il bel capo traforato all'uncinetto |
Un angolo di tranquillità |
I famosi venti catabatici di Andros! |
Alla ricerca della colombaia di Paleopoli |
Sabato 15 ottobre 2016 - 114° giorno di viaggio
Ormos Plaka - Paleopoli, Andros (10 Km)
Vento N 13-18 nodi (F4-5) - Mare poco mosso - Temperatura 21°C
Al mattino il sole arriva tardi ad illuminare e scaldare la baia: quando alla fine sbuca da dietro i monti, le rocce verdi e bianche delle scogliere si riempiono di nuove figure fantastiche. Così Mauro ed io riprendiamo la discussione di ieri sera: lui vede un clown, io un gorilla.
La guida dice che su Andros gli ateniesi hanno costruito le seconde case di villeggiatura. Forse per via delle montagne alte che d'inverno si ricoprono di neve, qui le abitazioni non rispecchiano più l'architettura cicladica ed invece dei bordi smussati presentano tetti spioventi ricoperti di tegole rosse. Molte sono in pietra, e richiamano le rimesse delle barche che sempre più numerose si incontrano lungo la costa, e quelle costruzioni che non sono ancora terminate hanno gli scheletri stranamente dipinti di un tenue color verde pastello e si confondono bene tra la vegetazione, sempre più rigogliosa man mano che saliamo verso nord.
Quando ci imbarchiamo, dopo una colazione spesa in chiacchiere, il cielo si ricopre di una foschia grigia che non scalda. Meno male che abbiamo indossato la giacca d'acqua, perché insieme al sole tiepido e timido ci si mettono anche le folate fresche che scendono dalle montagne. Le previsioni che annunciano venti forti sembrano più che rispettate, anche se sono ormai un paio di giorni che non riusciamo più a controllarle, perché su Andros vigono le tre costanti dell'universo: connessione inesistente, capelli ingarbugliati e macchie ovunque, sulla tuta e persino sui calzini appena messi.
Quando il Meltemi soffia così deciso, prima si arrampica su per le montagne e poi si infila giù nelle gole. Al momento di raggiungere il mare aumenta la sua forza: per esperienza sappiamo che acquista di solito due punti in più sulla scala dei venti, quindi ci aspettiamo per oggi delle belle raffiche Forza 6-7. Che non tardano ad arrivare: già nella prima baia entrano con decisione. E' una baia poco pronunciata ma con due profonde vallate alle spalle delle spiagge attrezzate (che tristezza quegli ombrelloni di paglia lasciati da soli a prendere il sole, senza più nessun turista a godersi l'ombra a pochi passi dalla battigia...): è una piccola baia perfetta per far sfogare il Meltemi e tutte le raffiche che produce.
Oggi dobbiamo riprendere a "scogliettare", come e più di ieri.
Superiamo il primo capo con un po' di fatica, rallentati dalle folate che ci raggiungono al traverso e bagnati più del previsto dagli schizzi d'acqua che accompagnano, e talvolta precedono, le onde frangenti che hanno preso ad imbiancare il mare. Quando vediamo che l'acqua viene schiacciata e "stirata" dalle raffiche, capiamo che il Forza 6 è ormai arrivato. Quando le goccioline d'acqua vengono poi sollevate in vortici, allora il Forza 7 è lì che si presenta spavaldo.
Sono i venti catabatici che rendono famosa l'isola di Andros.
In questi casi adottiamo la tecnica messa a punto a Creta, e già sperimentata con buoni risultati sulle Cicladi Occidentali, durante le prime settimane di navigazione di questo nostro lungo viaggio: risaliamo controvento la prima parte della baia, con la testa china in avanti per offrire minore resistenza al vento, trattenendo il respiro per non perdere energie, contando i secondi che separano una raffica dall'altra (e ringraziando per quei rarissimi momenti di tranquillità). Una volta raggiunta la metà della cala ci facciamo "sputare" fuori dal vento, che di solito sfruttiamo al mascone o al traverso.
L'acqua del mare si spiana ma si increspa e prende dei colori molto diversi dal solito, più scuri e tenebrosi, quasi inquietanti. Quando le raffiche si intensificano, l'acqua si schiarisce perché in parte viene sollevata e nebulizzata, in parte si imbianca sulla cresta delle onde ravvicinate e nervose, quelle che di solito accompagnano i venti catabatici.
Per non finire in acqua, bisogna stare quasi del tutto inclinati nel vento, col corpo sbilanciato fuori dal kayak, per essere pronti ad appoggiare prima ancora che sull'acqua sul vento stesso. E' una faticaccia! E non ci si può permettere la minima distrazione: tutta la concentrazione possibile, richiede questo benedetto Meltemi!
Quando finalmente, dopo tanti spruzzi e appoggi e altri spruzzi raggiungiamo il secondo capo, quasi non abbiamo tempo di riprendere fiato, perché non succede quel che speravamo, di essere cioè ridossati almeno per qualche decina di metri: i venti catabatici si intrufolano dappertutto e anche sul capo creano mulinelli e turbolenze violente. Affrontiamo la seconda baia con la stessa tecnica ma per fortuna siamo meno tartassati: forse le vallate sono più ampie oppure le montagne sono meno alte o magari è il Meltemi che ha deciso di prendersi una pausa. Qualunque sia il motivo, facciamo molta meno fatica a coprire i tre chilometri che ci separano dal terzo capo, quello impreziosito da curiose rocce verdi traforate dall'acqua come fossero lavorate all'uncinetto.
Nella terza baia, invece, ci aspetta il putiferio: raffiche Forza 8, nebulizzazioni continue, onde sempre più nervose, frangenti che da pecorelle son diventati cavalli bianchi imbizzarriti. Sappiamo di essere in balia di venti Forza 8 sia perché sono in tutto simili a quelli già incontrati altrove e sia perché l'acqua prende a salire in cielo in perfetti mulinelli, come tende lasciate volare nel vento. Non le avevamo mai sperimentate prima, però, così al traverso: anche quelle di Creta erano forti ed aggressive ma non avevano mai raggiunto questa violenza. L'inclinazione dello scafo aumenta ed aumenta anche la nostra inclinazione: siamo tutti proiettati nel vento!
Raggiungiamo con qualche patimento la cala prescelta per la sosta del pranzo e, dopo una ricognizione accurata dello stato del mare, dall'alto del promontorio dietro il quale abbiamo sgranocchiato pane secco, pomodori e sgombri, la trasformiamo nella cala prescelta per il campo della notte.
C'è troppo vento, là in mezzo, per proseguire con tranquillità: dopo l'esperienza di Cala Gonone in Sardegna (4 chilometri in 6 ore tra venti Forza 8!) abbiamo capito che quando il mare si colora dei colori dell'arcobaleno non è il caso di navigarlo, anche se il vento è a favore e c'è la possibilità di venire avvolti dall'arcobaleno come ci è capitato a Folegandros un paio di mesi fa.
Meglio stare a terra!
Siamo a Paleopoli, un borgo di pescatori arroccato a mezza costa tra una fitta schiera di cipressi: in epoca bizantina è stato capoluogo dell'isola e dell'antico splendore rimangono i pochi resti del porto visibili sul fondo del mare, qualche rovina persa tra le chiesette bianche ed i terrazzamenti coltivati qua e là a granturco. Ci sono 1039 scalini che salgono dalla spiaggia di ciottoli al paese e al Museo archeologico: ne percorriamo una piccolissima parte per andare ad esplorare un poco l'interno, con la speranza subito delusa di poter raggiungere una bella colombaia imbiancata a calce ma chiusa dietro recinti invalicabili. Scoviamo però una di quelle casette in pietra che un tempo servivano da ricovero per le greggi: vanta come pilastro d'ingresso una bella colonna in marmo, con tanto di decorazioni sul capitello. Un riciclaggio edilizio in piena regola.
Serata curiosa: alle sette abbiamo già montato la tenda, ancora una volta nella veranda di una vecchia casa abbandonata, proprio a due passi dal mare, anche se un poco distante dai kayak; alle otto abbiamo già finito di cenare. Possiamo quindi guardare ancora il mare, sempre spianato dai venti catabatici, che neanche di notte se ne vanno a dormire, contare i traghetti che incrociano al largo, illuminati come navi da crociera, ed aspettare che la luna piena sorga dal monte e tinga di bianco la spiaggia sotto di noi...
La veranda della nostra casa per una notte sulla spiaggia di Paleopoli |
I resti del porto sommerso dell'antica Paleopoli bizantina |
Paleopoli vista dal mare |
Il nano-faro di Batsi |
La colombaia adibita ad ufficio di informazioni turistiche di Gavrio |
Domenica 16 ottobre 2016 - 115° giorno di viaggio
Paleopoli - Gavrio, Andros (13 Km)
Vento N 10-13 nodi (F3-4) - Mare poco mosso - Temperatura 21°C
Ancora cielo grigio, stamattina, ma la tettoia della casetta abbandonata sul mare ci protegge da eventuali piogge autunnali (che per nostra fortuna non arrivano).
Facciamo appena in tempo a doppiare il promontorio di Diakoftis (stesso nome di quello di Mikonos ma molto più piccolo, anche se dalla forma simile: forse è la caratteristica morfologica che fa meritare lo stesso nome, chissà!) che ci ritroviamo con le raffiche dei venti catabatici ad imbiancare il mare e a rallentare la nostra avanzata. Ieri non saremmo andati proprio da nessuna parte, visto che oggi per i primi chilometri il mare è rimasto piatto come una tavola e adesso è già tutto increspato dal Meltemi. Si vede che queste vallate generano sempre venti forti, che si rinforzano ancora di più una volta raggiunto il mare.
Ci portiamo sotto le scogliere rocciose per trovare un poco di riparo e riprendiamo a "scogliettare".
Raggiungiamo dopo un'ora (che pare un'eternità) il piccolo porto di Batsi, una baia intorno alla quale è cresciuto un paese di case basse dai tetti rossi con una grande chiesa al centro, anche questa con le tre cupole dipinte di rosso. Per fare meno fatica possibile, anche se le raffiche non accennano né a diminuire né tanto meno a scomparire, continuiamo a seguire la linea della costa e possiamo così notare un paio di colombaie, una casa in pietra "scivolata" qualche metro più in giù lungo la scarpata, una lunga spiaggia di sabbia bianca davanti alla quale stanno praticando il wind-surf (la giornata è proprio adatta!), una spiaggia più piccola sormontata da alcune belle dune ed un albergo che il portolano definirebbe "punto cospicuo" ma che è un cazzotto nello stomaco perché i suoi cinque piani stonano con il paesaggio all'intorno.
Il Meltemi sembra intenzionato a rendere faticosa questa breve giornata di navigazione: continua a soffiare imperterrito anche mentre ci avviciniamo al porto di Gavrio.
Adesso vorrei sapere chi è che dice che il Meltemi cala a settembre. Noi qua siamo a metà ottobre ed il vento è ancora forte come in estate. Faccio mie le parole di Francesca Carignani, la velista romana autrice del bel volumetto "Rotta verso l'Egeo": "Realizziamo che forse – dico forse – il fatto di aver sempre sentito dire che il Meltemi dura fino a metà settembre è spiegabile solo perché forse – dico forse – chi lo ha detto è sempre tornato a casa a metà settembre"! Ecco!
Decidiamo di non penetrare all'interno del porto naturale che ospita il paese perché vogliamo evitare sia i traghetti in entrata ed uscita sia i venti catabatici che sicuramente interessano anche le vallate sovrastanti. Sbarchiamo nella spiaggia antistante, all'ombra di una tamerice gigantesca e su un soffice tappeto di posidonia seccata dal sole. Siccome è già passata l'ora di pranzo e stiamo entrambi morendo di fame, ci vestiamo da "civili terragni" ed in pochi minuti siamo in paese. Troviamo subito la taverna che fa al caso nostro, con un tavolo all'interno vicino alla presa della corrente, proprio di fronte all'ufficio turistico ricavato in un vecchia colombaia restaurata e dipinta di bianco. Ci passiamo il resto del pomeriggio, tanto per oggi abbiamo già faticata abbastanza.
Mentre spazzoliamo le portate di insalata dello chef, di tzatziki e patatine fritte, di peperoni alla piastra e di giros guarnito di ogni leccornia, facciamo una considerazione poco culinaria (e forse poco adatta per essere fatta a tavola, ma tant'è!): ci sentiamo molto più puliti in kayak che non in città, dove le unghie di mani e piedi sono sempre nere, mentre in mare sono bianche e morbide come neanche dopo una manicure-pedicure... A tavola, poi, io mi sporco molto di più che in kayak: ogni boccone è una macchia garantita!
Controlliamo finalmente le previsioni meteorologiche, dopo giorni in cui non ne avevamo avuto la possibilità per la mancanza di connessione internet. Non preannunciano nulla di buono: venti da nord a 35 nodi, ben più forti di quelli delle giornate passate. E sarà così per almeno tre giorni!
Se le condizioni meteo-marine saranno confermate, domani non riusciremo certo a raggiungere la famigerata costa settentrionale dell'isola di Andros: resteremo invece bloccati a Gavrio e dovremo certamente trovare un campo più adatto per la notte, perché la tamerice, per quanto gigantesca, non offre certamente un riparo sufficiente a proteggere la nostra povera tendina.
Speravamo che il Meltemi si fosse accorto che siamo ormai in autunno inoltrato: sarebbe pure ora che si decidesse a smetterla di tormentarci! Invece, ancora niente...
I commenti su Facebook (16 ottobre 2016):
RispondiEliminahttps://www.facebook.com/tatiana.cappucci/posts/1226714550682782
A tu per tu con i venti catabatici di Andros...
Marco Valle: Ormai è quasi fatta, buon mare!
Stefano Zurlo: Vai dove ti porta il vento...!!! Azz....
Anne Chardonneau: COURAGE FACE AU SACRE MELTEM..et merci pour votre magnifique reportage toujours aussi époustouflant!!
Antonio Colantuoni: Anche Ulisse un giorno arrivò Itaca. Quando vi rivedremo?
[Mauro Ferro: ... probabilmente verso la metà di novembre... forse...]
Daniel Forcier: Going up Bravo
Daniel Forcier: Mikonos and going up seems to be a very nice place to do for a tourist like me???