Pano Psaraliki, Antiparos - Ormos Livadia, Paros (11 Km)
Vento N 13-18 nodi (F4-5) - Mare poco mosso e calmo nello stretto - Temperatura 23°C
Colazione al caffè del porto, quello coi divanetti sistemati in bell'ordine dietro la vetrata d'ingresso, al riparo dal vento, già forte e freddo di primo mattino: io ordino la "solita" crepe con cioccolato e banana e caffè frappè, Mauro invece la "solita" omelette con patate e birra alla spina, raccogliendo subito il beneplacito del cameriere dai bei baffoni curati e arricciolati alla Dartagnan.
Spesa al market vicino al mulino, quello che offre anche il servizio di consegna a domicilio: il ragazzo ci accompagna prima a cercare il tabacco per Mauro e poi in spiaggia, a due passi dai kayak, noi e le buste dei viveri e le due confezioni d'acqua da due litri (errore tattico, perché di solito compriamo quelle da 1.5 litri, ma alla fine scopriamo con piacere di riuscire a stivare senza grosse difficoltà anche bottiglie poco più grandi, aumentando così la nostra capacità di carico fino a 15 litri di acqua a testa).
Partenza più lenta del solito, ben oltre l'ora di pranzo, che saltiamo volentieri perché la colazione è stata molto ricca: ogni volta che abbiamo un nuovo carico dobbiamo riprendere il gioco di incastri nei vari gavoni, un puzzle sempre diverso che un po' ci fa impazzire e un po' di fa divertire (dipende dallo spirito con cui lo affrontiamo e dal tipo di spiaggia su cui ci troviamo: se c'è sabbia fine e vento forte lo spirito è sicuramente torvo!)
Oggi affrontiamo la breve traversata da Antiparos a Paros, passando vicino ai due isolotti, uno all'apparenza privato e l'altro con un insignificante nano-faro, che occupano il centro del canale tra le due isole. Sembrano di gran lunga più interessanti le isolette che si profilano più al largo, una manciata di scogli alti e puntuti che da lontano somigliano a tanti galli pronti a cantare. Su uno di quelli più a nord c'è anche una chiesetta bianca che spunta dalla sommità e chissà come è stata costruita: Alexandros, il titolare del centro "Sea Kayak Paros" che avevamo conosciuto al nostro primo sbarco sull'isola, ci aveva suggerito di non mancare la visita, ma il vento oggi è troppo forte, e sempre contrario, per pensare di spingerci così al largo. Non sappiamo qual'è quello su cui si è incagliato nel 2000 il traghetto di linea che ha causato 80 morti, in una delle tragedie più grandi della storia recente della navigazione greca: sappiamo però, perché Alexandros ce lo aveva raccontato, che ogni anno a Paros commemorano le vittime con una nuotata nello stretto, alla quale partecipano anche i kayak, per prestare assistenza ai nuotatori (in un connubio di sport acquatici diffuso da anni anche in Italia e sempre di più in giro per il mondo).
L'avvicinamento a Parikia, la Chora di Paros, ci distrae da questi foschi pensieri.
Il golfo mi ricorda quello di Kea, la prima isola che abbiamo visitato: le due baie interne, protette dalle morbide colline che si aprono a raggiera intorno al porto, sono ben più grandi dell'altra e ben più trafficate, ma hanno lo stesso fascino del borgo marinano frequentato dai caicchi colorati e dalle barche a vela di varie nazionalità. Peccato solo che i tre mulini restaurati ed affacciati sul mare siano stati soffocati da tre alberghi a tre piani troppo moderni e troppo squadrati. Del resto, Paros è molto più turistica di Kea.
Vado a visitare il Kastro di Parikia, che già passando in kayak mi aveva molto incuriosito, arroccato così sull'unica collinetta a due passi dal mare. Vado da sola perché Mauro preferisce dedicarsi all'accanimento terapeutico sulla solita sacca stagna del GPS, oltre che sui cordini dei maniglioni dei kayak, sui due camel-bag dell'acqua che "fanno acqua" e sui due giubbotti che ormai mostrano i segni del tempo (li usiamo da oltre dieci anni, poverini!). Non ci siamo mai separati prima, Mauro ed io, durante questo lungo viaggio che è diventato anche una lunga luna di miele: era capitato solo quella volta a Santorini, per un paio d'ore, il giorno dopo il rientro da Anafi, quando mi ero incaponita a cercare qualcosa di bello da vedere sull'isola ed un museo d'arte contemporanea mi sembrava l'ideale, in teoria a dieci minuti dal ristorante dove avevamo pranzato (in pratica a quasi un'ora ed ovviamente già chiuso!). Stavolta impiego venti minuti a piedi per raggiungere il centro della Chora di Paros, sempre aperta e bellissima.
I vicoletti lastricati e pedonali si arricciolano intorno al Kastro, il più bello sin'ora visitato, senza dubbio il più grande, con le "solite" case a due piani affiancate le une alle altre, con le "solite" scalinate a vista e con le "solite" mura esterne a protezione dell'interno. E' tutto ben curato e conservato, con i "soliti" negozi per turisti ma anche con vari studi di architettura e design di interni e persino con "insolite" gallerie d'arte moderna. C'è anche una grande chiesa dalle cupole rosse, Ekatotanpyliani, famosa e curiosa perché ospita sotto lo stesso tetto ben tre chiese diverse, un segno raro ed apprezzabile di convivenza religiosa, da valorizzare in questi tempi bui di intolleranze e guerre di confine.
Ma la cosa per me più strepitosa di Parikia sono le mura del vecchio castello veneziano: le ho fotografate da tutte le angolazioni possibili e nessuna rende giustizia alla maestosità dell'originale. Sbucano tra le case strette tutte intorno, il bianco del marmo delle colonne che risalta sul bianco dell'intonaco delle pareti, i resti delle precedenti costruzioni usate per completare lo costruzioni più recenti, pezzi di storia incastonati nella storia. Mi perdo per un tempo incalcolabile ad ammirare le fette tonde delle colonne, ancora con l'incavo centrale di giunzione in bella vista, che sbucano tra le forme squadrate delle pietre grigie, oppure adagiate per lungo, con le rotondità a raccogliere la polvere del tempo ed ad accogliere i nidi delle colombe, bianche pure loro. Da lasciare senza fiato. Almeno a me, che ho sempre ceduto al fascino delle pietre e dei rimaneggiamenti creativi... Rimango seduta sui gradini della chiesa di fronte a godermi lo spettacolo di quegli inserti geometrici finché non sopraggiunge il tramonto, che colora tutto di rosa, le mura, i mulini e le vele attraccate in porto.
Mauro intanto ha terminato l'accanimento terapeutico e si è dedicato ad edificare il campo: stasera siamo ospiti di un resort che ha già concluso la stagione, per esplicito invito dei proprietari, scesi a cenare sul pontile galleggiante che delimita la piscina a sei corsie realizzata nella baia. Appena lui finisce di spianare tra i due kayak, si avvicina la signora per dirgli di spostarsi all'interno, e non appena finisce di spianare sullo spiazzo davanti alla spiaggia, si avvicina il signore per dirgli di spostarsi ancora più all'interno, vicino al muro di cinta e sotto la bouganville viola. Così siamo più protetti dall'umidità, gli dicono in greco e a gesti. Ma grazie! Efkaristò poli. Mai Mauro ha spianato così tante volte per un solo campo, ma alla fine ne è valsa la pena...
Le mura del vecchio castello veneziano nel Kastro di Parikia a Paros |
L'alba sui kayak nella baia di Parikia a Paros |
In kayak lungo la costa orientale di Paros |
La trasparenza dell'acqua del Mar Egeo |
Le quattro pale eoliche del versante orientale di Paros |
Sabato 1 ottobre 2016 - 100° giorno di viaggio
Ormos Livadia - Ormos Agios Ioannis, Paros (18 Km)
Vento N 5-11 nodi (F2-3) - Mare calmo e poco mosso sul capo nord - Temperatura 23°C
Cento giorni e non sentirli!
Al nostro risveglio la baia è calma, l'alba tinge tutto di rosa, poi d'arancio e poi d'oro. Ci basta questo per festeggiare i cento giorni di navigazione!
Passiamo accanto al nano-faro sul traliccio bianco, posto accanto alle costruzioni ormai diroccate del precedente faro, ed usciamo dall'ampia baia di Parikia. Pagaiamo verso nord lungo una costa rocciosa e disabitata (finalmente!) che nasconde due-tre spiagge incastonate tra le scogliere di granito e così remote da non essere neanche segnate sulla carta (non c'è un sentiero che le raggiunge da terra, quindi forse non sono considerate "appetibili").
Facciamo una breve sosta su una delle calette più ampie, quella con i ciottoli bianchi e neri levigati dall'acqua in forme ovali e tondeggiati. Sulla riva c'è qualche plastica di troppo, rovesciata dal mare come spesso capita su tutte le spiagge aperte a nord: io trovo dei piccoli tesori nascosti qua e là, mentre Mauro fuma la sua sigaretta di rito, poi ripartiamo col mio kayak un po' più pesante di prima... Quando raggiungiamo il capo nord dell'isola di Paros ammiriamo un faro vero e proprio, uno dei più belli di tutte le Cicladi: è alto sulla scogliera rocciosa battuta dal vento e dalle onde, con la cupola verde e le tante finestre dipinte dello stesso colore brillante, e vanta una bella greca che corre su tutta la facciata principale. Si staglia con la sua imponenza sul mare che ribolle: ci sono onde frangenti dappertutto intorno al capo, in una giornata come questa di brezza leggera, figuriamoci cosa ci sarà mai in un giorno di vento forte. Non è facile superare le correnti irregolari ed i polloni tondeggianti che pure si riconoscono lungo le scogliere e fino in mare aperto: sembrano tante piccole tidal-races, le correnti di marea che non siamo abituati ad incontrare nel Mar Mediterraneo ma che evidentemente sono abbastanza frequenti qui nel Mar Egeo, almeno in prossimità dei capi pronunciati ed esposti alle intemperie.
Le turbolenze del vento ci accompagnano sin dentro la grande baia di Naousa, un bel paese cicladico disteso su tre colline che da borgo marinaro è diventato un rinomato centro turistico, un po' "stylish", come ci conferma Alexander. Dopo una serie di messaggi, passa a salutarci sulla spiaggia in cui abbiamo trovato rifugio dal vento, nella bella baia di Monastiria, ai piedi di una chiesetta bianca costruita sulla scogliera di granito rosa. Ci porta una confezione di pasteli, i tradizionali dolci locali di sesamo e miele: "Mi avete inspirato nuovi viaggi in kayak, spero di rivedervi in questi o in altri mari", ci dice prima di andarsene. Sono proprio belle, queste nuove amicizie che il mare ci regala!
Bella è anche la serata di relax che trascorriamo in un resort ormai chiuso.
Meno bella è la "aggressione" di una mantide religiosa, che mi assale alle spalle mentre sono intenta a montare la tenda, e la "visita" di tre zanzare, che ci tormentano mentre cerchiamo di prendere sonno. Bella invece, ma un po' troppo mattiniera, la discussione che imbastiscono i fringuelli sul far del giorno, ma la notte è stata lunga e rigenerante, giusto quel che ci voleva per affrontare la traversata...
La costa rocciosa del versante nord-orientale di Paros |
Lo scoglio Dante Alighieri |
Il bel faro dalla cupola verde del capo nord orientale di Paros |
Il capo in un giorno di brezza leggera |
L'arrivo nella bella baia di Monastiria |
Il campo nel resort chiuso da appena una settimana |
Domenica 2 ottobre 2016 - 101° giorno di viaggio
Ormos Agios Ioannis, Paros - Ormos Pikralloiria, Rinia (31 km di traversata)
Vento W 2-3 nodi (F1) - Mare calmo - Temperatura 23°C
E' bello tornare sulle isole già visitate, come è bello riconoscere la loro sagoma che si profila da lontano. Ancor più bello è però scoprire nuove isole: oggi andiamo ad esplorare Rinia, trenta chilometri a nord di Paros.
Al mattino la baia è uno specchio immobile di acqua trasparente, quando partiamo è appena increspata e anche il mare fuori è fermo e placido. E' quasi un peccato dover andare. Ma oggi è la giornata ideale per affrontare la traversata più lunga del viaggio: siamo arrivati in tempo all'appuntamento con l'annunciata tregua del Meltemi, anche se ci è costato un po' di fatica risalire controvento le tappe dei giorni precedenti. Abbiamo fatto la scelta giusta: Rinia si avvicina sempre di più e noi facciamo sempre meno fatica. Oggi non dobbiamo combattere col vento, almeno per oggi il Meltemi ci lascia tranquilli. C'è solo una fitta foschia che nasconde l'orizzonte, la linea del cielo si confonde con quella del mare e sembra di pagaiare in una dimensione irreale, tanto è insolita la calma che regna tutta intorno a noi.
La traversata è davvero placida, quasi troppo.
Dobbiamo come d'abitudine correggere la rotta di venti gradi bussola non appena ci allontaniamo da Paros e navighiamo su un mare calmo come l'olio per le cinque ore successive. Incontriamo una leggera brezza contraria solo quando ci avviciniamo a Rinia.
Facciamo anche degli incontri interessanti: la prima ora ci passa davanti un delfino solitario, che mostra una decina di volte la sua pinna dorsale durante le sue lente cavalcate sull'acqua piatta; la seconda ora ci avvicina una tartaruga assonnata, che tira fuori la testolina curiosa tre-quattro volte prima di decidere di inabissarsi; la terza ora mi tormenta un'ape ronzante, che chissà come si trova così lontana dalla costa, almeno quindici chilometri al largo. La quarta ora trascorre così lentamente che mi metto a contare le pagaiate.
Il silenzio regna sovrano: mi concentro allora sulla pagaiata silenziosa.
La pala entra ed esce senza far rumore e passa nell'acqua senza fare bolle. Lo ripeto spesso durante i miei corsi di kayak e so che non è un risultato facile da ottenere. Ma è indispensabile per ottimizzare la pagaiata. Ed in giornate come questa anche per riuscire a calarsi nella pace che ci avvolge. Nessun rumore intorno a noi, nessun rumore vicino a noi: la pagaia non deve produrre nessun rumore. Non ci devono essere gocce che ricadono in acqua, né che tamburellano sul paraspruzzi, né che scivolano lungo la pala; e non devono neanche arrivare a bagnare le mani, così la pagaiata rimane asciutta anche per lunghe percorrenze. Serve allora abbassare la pagaia, tenerla in posizione il più possibile orizzontale, graduare l'inclinazione della pala nell'ingresso e nell'uscita e anche nella fase aerea...
Si può anche variare la pagaiata con tutta una serie di modifiche nella propulsione, cambiando il punto di inserimento in acqua, la linea di passaggio lungo lo scafo, il punto di estrazione della pala. Un buon esercizio, specie in giornate di calma piatta come queste, è quello di provare a seguire con la pagaia la linea d'acqua aperta dalla prua del kayak... Mauro si diletta come al suo solito a cambiare la posizione delle mani sull'impugnatura, portando i palmi verso l'alto a sollecitare muscoli differenti durante la pagaiata.
Arriviamo alle cinque e mezza del pomeriggio dopo cinque ore e mezza di pagaiata silenziosa.
Abbiamo tutto il tempo di "grufolare" sulla spiaggia, stranamente troppo pulita anche se aperta a sud (qualcuno deve averla pulita all'inizio della stagione estiva e forse anche poco tempo fa); abbiamo anche il tempo sufficiente per montare il campo prima di sera, visto che la cala è deserta e non c'è nessun altro nei paraggi (salvo un pescatore discreto, che arriva con un piccolo motoscafo e getta l'ancora nella baia, ed un pastore-cacciatore che resta una buona mezz'ora seduto sullo stesso sasso a metà del vallone).
Alle otto e mezza è già buio pesto e mentre si accendono le prime stelle noi siamo già pronti per andare a dormire...
Finalmente fotografiamo una tartaruga Caretta caretta! |
Dopo aver messo piede su Paros iniziamo ad esplorare Rinia e Delos |
Gli scogli di granito della costa meridionale di Rinia |
Gli scogli gorilla della costa occidentale di Rinia |
Le acque verdi intorno a Rinia |
Lunedì 3 ottobre 2016 - 102° giorno di viaggio
Ormos Pikralloiria - Ormos Tou Kasari, Rinia (22 Km)
Vento NW 2-3 nodi (F1) - Mare calmo - Temperatura 23°C
Al mattino la baia è immota. Il motoscafo del pescatore è scomparso, il pastore è tornato a sedersi sullo stesso sasso. Ma non scende al mare, anche se le sue capre pian piano seguono il sentiero che porta al pozzo scavato al centro della spiaggia.
Rinia è un'isola molto particolare, brulla e rocciosa come tante altre Isole Cicladi, ma con una costa molto frastagliata che la fa sembrare, secondo la colorita definizione di Mauro, "un'ameba spiaccicata". E' quasi divisa in due parti da un sottile istmo sabbioso, non è disabitata ma non è neanche antropizzata: ci sono soltanto poche casupole sparse, abitate dai pastori che ancora vivono sull'isola per la stagione estiva e che accudiscono le greggi di pecore e di capre che si intravedono lungo la costa e sulle alture circostanti. La collina più alta, che si trova nella parte settentrionale e che è chiamata Kastro, raggiunge appena i 137 metri sul livello del mare, e tutte le altre colline sono basse, morbide e spoglie: su tutta l'isola non abbiamo visto un solo albero, salvo le rare tamerici cresciute sulle spiagge, ed il panorama è colorato di un uniforme marrone chiaro, tipico della macchia mediterranea bruciata dal sole.
Più della sua costa, Rinia è interessante per le sue spiagge: ce n'è una in ogni baia, anche nelle calette più piccole, alcune di sabbia, altre di ciottoli. Tutte sono deserte, "senza alcun servizio a terra", come sottolinea il portolano. Soltanto alcune, tre o quattro, hanno dei piccoli moli in cemento per favorire gli spostamenti dei pochi abitanti stagionali. Tutte sono bagnate da acque limpide e trasparenti: quando esce il sole e si dirada la foschia, che come ieri durante la traversata ci accompagna anche oggi lungo la costa orientale, il mare si accende di colori vivaci, i fondali diventano visibili anche a grandi profondità e si riconoscono ovunque i ricci neri e le spugne verdi e le castagnole che a piccoli branchi nuotano tra gli scogli.
Rinia è un'isola rilassante, così vuota di case e di persone, così diversa dalle vicine Naxos e Paros, così lontana dalla pur vicina Mikonos. Rinia offre tutto quel che le altre isole sorelle non sono più in grado di offrire: volutamente destinata soltanto al pascolo e dal 2000 protetta come riserva naturale, Rinia racchiude nella sua ridotta estensione luoghi selvaggi ed incontaminati. E' un piacere pagaiare intorno alle sue coste rocciose, per quanto un po' monotone e prive di particolari attrattive.
Ovviamente, regnano su Rinia le tre costanti universali: non c'è connessione internet, come si addice ad un'isola così isolata; non c'è modo di salvarsi dalle macchie perché le cene intorno al fornello da campo sono sempre una fonte garantita di macchie variopinte; e non c'è verso di tenere in ordine i capelli, anche se in una caletta ridossata abbastanza da farci superare il primo brivido da immersione, riusciamo persino a lavarli: non appena asciugati al sole, però, si arruffano tutti come se avessimo messo le dita nella presa della luce...
La spiaggia dello shampoo, come a volerci distrarre dai nostri malanni universali, richiama decine di libellule rosse, che volano a tutte le altezze intorno ai kayak e sul mare verde smeraldo. Quando poi ci decidiamo a riprendere il mare, l'aria si riempie del verso curioso di un volatile sconosciuto, che subito ribattezziamo uccello-sonar per il suono penetrante e prolungato che emette (lo sentiamo anche da lontano e anche dalla spiaggia in cui sbarchiamo, e anche durante la notte e fino all'alba: un uccello-sonar instancabile!). Sentiamo anche in lontananza il rumore di ruspe in azione e temiamo per qualche momento che la riserva naturale sia già minacciata...
Scegliamo di sbarcare sulla bella spiaggia a mezza luna della baia chiamata "Chapel Cove", perché si trova proprio accanto all'isoletta che ospita una delle quattro chiesette di Rinia, tutte con la volta colorata di rosso, invece che con la cupola dipinta di blu. Sul lato nord della baia c'è un pontile bordato di pneumatici e sulla piccola collinetta affacciata sul mare c'è una selva di trattori, ne contiamo almeno sei, tutti con un cassone in ferro come rimorchio (ecco svelato il mistero dei rumori: non sono ruspe che minacciano la riserva ma trattori usati dai pastori locali per accudire le greggi).
Sulla spiaggia di sabbia bianca e fine ci sono evidenti e sovrapposte tracce del via vai di quei trattori e nel tirare in secca i kayak facciamo attenzione a lasciare sufficiente spazio per il loro passaggio... Uno arriva mentre stiamo montando la tenda e fa avanti e indietro per tre volte, raggiungendo prima la casetta sul mare e scomparendo poi nell'entroterra, forse per portare da mangiare alle capre, a giudicare dall'odore acre che lascia al suo passaggio. Il pastore alla guida, dopo una sorpresa iniziale ed una variazione nella corsa abituale, ci saluta ogni volta e ci fa segno di proseguire con le nostre attività.
Nella baia tutto è tranquillo, non si muove un alito di vento, non c'è la minima increspatura sull'acqua, non si sentono rumori di sorta (tranne il suono intermittente dell'uccello-sonar!): la luce soffusa del tramonto cede presto il passo all'oscurità della sera e una piccola falce di luna si accende in cielo insieme alle prime stelle...
Navigazione tranquilla intorno a Rinia |
Le morbide colline di Rinia |
La costa rocciosa del versante settentrionale di Rinia |
Il campo sulla spiaggia dei trattori ad Ormos Tou Kasari a Rinia |
Il ritrovo dei trattori di Rinia |
I ruderi della baia di Chapel Cove |
Martedì 4 ottobre 2016 - 103° giorno di viaggio
Ormos Tou Kasari - Ormos Tafoi, Rinia (15 Km)
Vento NW 2-6 nodi (F1-2) - Mare calmo - Temperatura 23°C
Al mattino è un continuo andirivieni di trattori.
Mentre facciamo colazione ne arrivano quattro o cinque.
Il primo pastore sembra più un marinaio: ha barba e baffi bianchi e il classico cappello blu da capitano. Una volta parcheggiato il suo trattore rosso all'inizio del molo, controlla dapprima le sue nasse per i polipi e con disappunto evidente constata che sono ancora vuote, poi si apposta in cima alla collinetta per scrutare il mare ed indovinare l'arrivo del motoscafo che viene a prenderlo. Gli altri sono tutti più giovani e quello che arriva per ultimo è forse un ventenne: scende dal mezzo col fucile in spalla e due begli esemplari di setter scozzese molto vivaci, che ancor prima di mettersi a fiutare conigli selvatici si fanno un lungo bagno nella "nostra" baia.
Non tira una bava di vento e la foschia è spessa anche stamattina.
Quando getta l'ancora una vela ricolma di turisti ispano-americani, noi siamo pronti per salire in kayak.
Oggi andiamo ad esplorare la costa di Delos.
Risaliamo verso il suo capo settentrionale per scendere lungo la sua costa orientale in senso orario. Pagaiamo più vicini di quanto dovremmo: il portolano chiarisce che la navigazione, l'ancoraggio e la sosta sono vietati entro 500 metri dalla riva e che alle imbarcazioni è consentito solo l'avvicinamento all'antica Delos nelle ore diurne quando il sito archeologico è aperto ai turisti (altrimenti serve un permesso speciale per accedere al tratto di mare interdetto). Restiamo ammirati dalle scogliere di granito rosa del versante est e ammiriamo le varie forme assunte dagli scogli levigati dall'aria e dall'acqua: si susseguono lungo la costa lineare e bassa una serie di figure fantastiche, dalle grandi bocche di ippopotamo alle curiose testoline di civette, dai molteplici animali mitologici ai vari personaggi dei fumetti (Pluto e Topolino in prima fila!).
Sul capo meridionale arriviamo sicuri di trovare un passaggio largo e navigabile tra Delos e l'isoletta satellite più a sud: lo stretto passaggio è invece disseminato di scogli gettati alla rinfusa e non è chiaro dove indirizzare le prue dei nostri kayak per passare sull'altro lato dell'isola. Potremmo andare ancora più a sud e doppiare anche il capo meridionale dell'isoletta satellite, ma ormai ci siamo incaponiti sul passaggio segreto e facciamo fare ai Voyager delle giravolte impensabili tra le rocce affioranti. Alla fine di una breve ma faticosa ricerca, riusciamo a strisciare fuori dalle secche senza strusciare gli scafi sui bassi fondali.
Puntiamo diretti sull'isola di Rinia, sia per mantenere le distanze dovute dall'isola di Delos, ora che nel canale tra le due isole sono chiaramente visibili i resti dell'antica città sacra, sia per arrivare il prima possibile alla caletta che abbiamo eletto come nostra casa per una notte: facciamo ciao ciao con la manina alla cala dove siamo sbarcati per la prima volta su Rinia e chiudiamo così idealmente il periplo dell'isola.
Sbarchiamo talmente presto che abbiamo tutto il tempo di "grufolare" sulla spiaggia, di fare incetta di spugne naturali già seccate e sbiancate dal sole e di "portare alla luce" la sezione di una colonna di marmo adagiata al centro della spiaggia e lì dimenticata da chissà quanti secoli.
Rinia è diventata il cimitero di Delos nel 426 a.C., da quando cioè gli ateniesi che governavano la città dei templi avevano decretato la sua "catarsi", ovvero imposto la regola secondo la quale nessuno poteva nascere e morire sull'isola consacrata agli dei. Gran parte del versante orientale di Rinia, quindi, quello affacciato proprio sull'antica Delos, è disseminato di tombe e fosse comuni, tutte andate distrutte per i terremoti, gli smottamenti del terreno e le varie incursioni più o meno legittime dei ricercatori di ogni epoca. Noi che ci avventuriamo a piedi per qualche centinaio di metri lungo la costa rocciosa abbiamo modo di osservare tanti bassi muri di pietra, alcune fosse chiaramente riconducibili ai luoghi di inumazione e molte colonne di marmo bianco abbandonate un po' dovunque, alcune persino scolpite con quattro teste di ariete come quelle che vedremo poi anche a Delos. I sentieri tra le tombe sono percorsi solo da capre e da pecore e tutto il sito è lasciato in un evidente stato di abbandono, forse perché i reperti più interessanti sono già stati traslati nel Museo di Delos (o altrove!) o forse perché il cimitero riveste un'importanza del tutto secondaria rispetto alla città sacra di Delos.
Il marmo dei vari pezzi che troviamo sulla collina e sulla spiaggia è di un bianco candido che ci sorprende e ci ricordiamo di aver letto che, a differenza del marmo di Naxos, a volte scartato per la sua scarsa qualità (com'era capitato per il kouros di Apollonas, per esempio), i marmi di Paros erano molto apprezzati e ricercati per la grana fine, compatta e bianca. Tutta la "nostra" spiaggia è disseminata di pezzi grandi e piccoli di marmi bianchi e peccato che pesino così tanto da non poter convincere in alcun modo l'Uomo di Ferro a caricarne anche uno soltanto in kayak...
La serata è calda e umida, illuminata dalle luci delle stelle e delle navi da crociera che lasciano Mikonos.
Ancora acque verdi |
L'ultimo campo nel vento a Rinia |
Ariete tra gli arieti |
Sullo scranno di marmo |
I famosi leoni di Delos |
Mercoledì 5 ottobre 2016 - 104° giorno di viaggio
Ormos Tafoi, Rinia - Ormos Ai-Charalampis, Mikonos (12 Km di traversate)
Vento N 15-18 nodi (F4-5) - Mare mosso con onde frangenti - Temperatura 21°C
Oggi proviamo ad avere un "risveglio" veloce: vogliamo andare a visitare gli scavi di Delos.
Non abbiamo trovato da nessuna parte gli orari di apertura del sito e le uniche informazioni disponibili sono quelle relative alle corse dei battelli da Mikonos.
Ci imbarchiamo prima del "nostro" solito ed in dieci minuti traversiamo lo stretto braccio di mare che separa Rinia da Delos. Siccome il Meltemi oggi ha deciso di risvegliarsi e di imbiancare il mare tutto intorno alle isole, noi passiamo a sud della piccola isola che si trova proprio in mezzo al canale, così da essere ridossati durante la breve traversata di un chilometro.
Siamo nel cuore delle Cicladi e capiamo perché Delos era diventata una così fiorente città sacra: è protetta dalle isole vicine così bene da non soffrire mai per il cattivo tempo, il Meltemi sembra non potere imperversare sulle sue coste come riesce a fare sulle altre isole intorno ed il mare si placa forse per volere divino anche nelle giornate di mare mosso.
C'è un piccolo porto naturale che si apre sulla sua sponda occidentale, riparato da una sottile lingua di terra che si allunga in mare e che offre un ridosso sicuro a imbarcazioni di varia stazza, dai traghetti che fanno la spola con Mikonos ai vari motoscafi che si avvicinano solo per far sbarcare i turisti. Per i nostri kayak non esiste alcun tipo di ancoraggio e siamo costretti a tirarli in secca sul piccolo triangolo di sabbia che si apre al fondo dell'ansa, proprio a due passi dai resti dell'antico quartiere costruito sul porto e ben oltre la biglietteria degli scavi. Non facciamo quindi in tempo a sistemare i due Voyager sulla spiaggia che una delle guide autorizzate inizia ad usare il fischietto al nostro indirizzo e a farci segno con la mano che non si può. E' vietato, it's not allowed. Gli spieghiamo che non abbiamo altro modo di sbarcare e che non abbiamo nessuna intenzione di saltare la fila: vogliamo comprare due biglietti (12€ a testa!) e non vogliamo farci il bagno ("swimming is forbidden here", ci dice, e figurarsi se co' 'sto vento gelido noi abbiamo voglia di farci un bagno!). Sembra ancora molto perplesso, non si capacita di come siamo potuti arrivati fin lì: poi un'altra guida più spigliata ci chiede da dove siamo partiti (ieri sera da Rinia, tre mesi fa da Atene, rispondiamo) e tutti si accendono talmente tanto di curiosità che quasi non ci lasciano più entrare a visitare gli scavi (aperti dalle 8 alle 19, per la cronaca!).
Ecco, l'antica Delos è spettacolare.
Se si esclude la trascuratezza del sito (ma in confronto all'abbandono in cui versano Pompei ed Ercolano, per dire, qui sembra tutto ben curato!), l'approssimazione con cui sono state riposizionate colonne e statue e la confusione che regna sovrana tra i reperti, senza che ci sia un percorso chiaro da seguire o una qualche spiegazione della zona della città in cui ci si trova, tutto il sito archeologico emana un fascino particolare, lo si vorrebbe visitare per ore e alla fine non si vorrebbe più andare via.
L'antica Delos è ancora ricca e prosperosa e affascinante come era un tempo.
Secondo la leggenda mitologica, Delos è l'isola dove Latona approda per dare alla luce Apollo ed Artemide, figli di Zeus. Secondo le ricostruzioni storiche, Delos è l'isola dove si insediarono i primi Ioni nel periodo miceneo, già intorno al 1500 a.C., e dove abitarono ben 25.000 persone quando raggiunse il suo apogeo intorno al 100 a.C. Secondo gli scavi archeologici, Delos è l'isola dove vennero costruiti molti templi in onore di molti dei: non solo i greci edificarono santuari dedicati ad Apollo ed Artemide, ma anche altri popoli che arrivarono sull'isola per scambi commerciali ebbero modo di erigere altari per professare i propri culti. In una convivenza pacifica straordinaria, che evidentemente è andata troppo presto perduta, sull'isola si erano stabiliti greci, che veneravano gli dei dell'olimpo, romani, che veneravano i lari, e siriani, che veneravano divinità orientali come Siria, cui è dedicato uno dei templi costruiti più in alto dell'antica Delos, ai piedi della collina di Kynthos, attorno alla quale sono nel tempo cresciuti molti altri templi.
La città sacra era una vera e propria città, con tanto di botteghe artigiane, specie nei pressi del porto, laboratori di ceramica e cuoio, interi quartieri di abitazioni più o meno sfarzose, alcune con colonnati, affreschi e mosaici all'ingresso. C'erano anche le varie Agora, i centri di incontro delle diverse comunità: costruita accanto ai templi principali si incontra l'Agora detta degli italiani, poco distante dai famosi leoni di marmo, che però sono stati offerti dagli abitanti di Naxos e non sono veneziani (anche se uno dei nove leoni superstiti è stato portato a fine Ottocento a Venezia e posizionato fuori dell'Arsenale, con una testa nuova che mal si adatta al resto della scultura, come può facilmente osservare chiunque vada a visitare la Serenissima in kayak...)
La visita del sito richiede da due a cinque ore, a seconda che si voglia dedicare del tempo anche agli scavi intorno all'ippodromo, all'anfiteatro e al museo, in cui sono conservate, oltre agli originali di molte statue, tantissime offerte votive, tra cui gioielli e statuine. Manca ovviamente all'appello la Venere di Milo, offerta agli dei di Delos dagli abitanti di Milos ma spostata dai primi archeologi francesi, oggi conservata nel Museo del Louvre di Parigi e mai più restituita alla Grecia... sulle questioni di proprietà archeologica siamo totalmente ignoranti, ma sarebbe molto bello ammirare le statue nel luogo in cui sono state ritrovate: ce ne rendiamo conto entrando nel Museo di Delos, dove pure sono sistemate a pochi passi dal luogo originario, ma dove purtroppo perdono di significato, così come sono ammassate le une accanto alle altre, e tutte "decontestualizzate"...
E' confortante comunque notare che sull'isola ci sono una decina di abitazioni civili, destinate sia ai custodi che alle guide ma anche ai ricercatori e agli studenti di archeologia, come notiamo mentre consumiamo qualcosa al bar accanto al museo.
Insomma, facciamo fatica a staccarci da Delos.
Arrivarci in kayak è stato un privilegio unico. Ripartire in kayak ci conferma la fortuna che abbiamo di viaggiare per mare. Non dobbiamo correre al suono della sirena per paura di perdere il traghetto e non dobbiamo fare la fila per visitare questo o quel tempio: ad un certo punto, quando riparte il battello delle 13 per Mikonos, restiamo gli unici visitatori della zona delle abitazioni illustri e possiamo goderci noi due soli le statue della casa di Cleopatra ed i mosaici della casa di Dioniso...
E da soli riprendiamo il mare quando siamo sazi di tanta storia e tanta ricchezza.
I mosaici della casa di Dioniso nell'antica Delos |
L'anfiteatro dell'antica Delos tutto per noi! |
Il privilegio unico di arrivare agli scavi in kayak |
L'oasi di pace nella bolgia di Mikonos |
La pasticceria dell'antico mulino della Chora di Mikonos |
Dopo aver messo piede su Rinia e Delos iniziamo ad esplorare Mikonos... |
Giovedì 6 ottobre 2016 - 105° giorno di viaggio
Ormos Ai-Charalampis - Ormos Ai-Charalampis, Mikonos (O Km)
Vento N 7-8 (F3) - Mare quasi calmo - Temperatura 23°C
Ieri pomeriggio siamo arrivati a Mikonos.
Dopo una traversata di dieci chilometri nel vento e dopo la visita all'antica Delos.
La giornata era ancora lunga e, nonostante il Meltemi, abbiamo fatto rotta verso l'isola più snob delle Cicladi. Mauro ha subito aggiunto una N prima ed una I dopo la K!
L'isola è famosa per non sappiamo ancora bene cosa.
La Chora è conosciuta per i sei mulini sulla collina, tutti adibiti ora a case per turisti, per le sette casette dalle balconate colorate, costruite a picco sul mare nella zona chiamata "Piccola Venezia" per chissà quale motivo, e per l'infinità di vicoletti che si diramano dal porto e che si perdono verso l'interno. Le casette bianche sono tutte a due piani, hanno un balcone sporgente sul vicolo, con la balaustra in legno dipinta a tinte vivaci e diverse, e sono tutte ben curate e molto caratteristiche. Dovrebbe essere un piacere passeggiare tra le sue cento chiese, più di una in ogni piazzetta, quasi tutte circondate dai tavoli dei ristoranti ma... è tutto un reticolo di negozi per turisti, di gioiellerie e di boutique, di cocktail-bar e di discoteche notturne... insomma, non proprio il nostro target!
Eppure ci passiamo la giornata.
Anche se nel frattempo sono arrivate tre navi da crociera e la folla ha preso d'assalto la città.
Abbiamo bisogno di fare rifornimento di acqua e viveri e vogliamo aggiornare il blog.
Troviamo il locale giusto per noi: non solo ha dei tavoli di legno abbastanza ampi da contenere tutte le nostre carabattole elettroniche, ed una presa vicina per ricarica il computer, i cellulari e le macchine fotografiche, ma è anche un posto ricco di storia. E' la pasticceria annessa all'antico mulino del centro storico, vecchia di 800 anni e da 200 anni gestita dalla stessa famiglia. Dietro il bancone c'è una signora cortese e sorridente, dall'abbigliamento un po' naif, che ci spiega con pazienza cosa c'è dentro ognuna delle torte esposte. Sul retro, ben visibile anche dall'entrata, il mugnaio dell'ultima generazione è intento ad infornare altri dolci ticipi, baklavas e biscotti al sesamo, come quelli allineati nelle vetrinette. Sugli scaffali campeggia il tipico pane secco locale, quello cotto due o tre volte ed usato per preparare il dakos, la bruschetta del posto consumata da pastori e pescatori: pane inzuppato in olio di oliva e condito con pomodori, capperi, olive, cipolle e formaggio fresco. Si devono scendere degli scalini alti e ripidi, la sala interna è avvolta in una luce soffusa ed il soffitto di travi di legno a vista regala all'ambiente un ulteriore pizzico di antichità.
Ci sediamo, ordiniamo da mangiare e da bere e ci scordiamo della ressa là fuori...
I commenti su Facebook (6 ottobre 2016):
RispondiEliminahttps://www.facebook.com/tatiana.cappucci/posts/1217671568253747
Dalla Chora di Paros a quella di Mikonos passando per il cuore delle Isole Cicladi...
Antonio Colantuoni: Una favola coinvolgente con bei racconti e belle foto 😊
Marco Valle: 👏👍buon mare !
Daniel Forcier: Vraiment ahurissant ce voyage et ces photos Bravo
Michele Varin: Ragazzi ma non e' ora di tornare a casa? Foglie gialle, funghi, nebbia, giornate corte, acqua fredda... No eh?
Daniel Forcier: Vraiment le plus beau trip que j'ai vu dernièrement
Toni Pusateri: Ragazzo e ragazza per sempre 😊
Massimiliano Milani: quando leggerò...domani sera campo su Legnano... con amici birra e griglia. ahah