Ormos Soufi - Ormos Soufi, Kimolos (0 km)
Vento NW 25-30 nodi (F6-7) - Mare agitato - Temperatura 26°C
Volevamo riposare ed il Meltemi ci ha accontentato.
Trascorriamo l'intera giornata sulla nostra spiaggia 10 e lode nel nord dell'isola di Kimolos. E' un piccolo angolo di paradiso, ridossato dal vento che gonfia il mare e solo a tratti è raggiunto dalla raffiche che tormentano le tamerici cresciute a due passi dalla battigia.
Stiamo rivalutando le tamerici: questi alberi bassi e dai fusti ramificati che abbiamo sempre disdegnato perché piangono lacrime d'acqua mista a resina, macchiando in maniera indelebile ogni cosa, hanno in realtà molte doti, sia per la capacità di crescere così vicine al mare che per il riparo che offrono dal vento e dal sole. Per quanto l'ombra che producono sia un po' povera, perché povere sono di fogliame, è sufficiente a farsi apprezzare nelle torride giornate estive. Inoltre, le tamerici delle Cicladi occidentali ci stanno proteggendo in maniera egregia dalle sfuriate del Meltemi e ci offrono molti rami cui legare le scottine rosse che ormai attrezziamo tutte le sere per mettere in sicurezza la tenda. Sono giorni che scegliamo le baie in cui fare sosta, per una pausa oppure per un campo notturno, in base alla presenza delle amiche tamerici.
Oggi passiamo tutto il giorno all'ombra delle "nostre" tamerici.
Facciamo la prima colazione sotto quella di sinistra, per osservare meglio il mare, poi prepariamo il pranzo sotto quella di destra e ci spostiamo di poco per il pisolino post prandiale, per una volta molto prolungato. Per cena, invece, ci rintaniamo sotto quelle centrali, molto più protette, dove abbiamo già predisposto il piano per la tenda.
Per ammazzare il tempo ci inventiamo un po' di tutto: saliamo sul promontorio maculato di rocce policrome per andare a guardare il mare aperto, facciamo una breve escursione lungo il sentiero costiero fino alla spiaggia accanto, visitiamo la chiesetta un po' malandata ma dal nome accattivante di Panagia Monastiriotissa, ci avventuriamo un poco nell'interno e curiosiamo qua e là tra i terrazzamenti che in parte conservano angoli di vigna bassa ormai selvatica. Nel pomeriggio mi dedico a razzolare in cerca di piccoli ricci di mare, rossi e verdi, di cui la spiaggia sembra pullulare: non deve essere un caso che nel passato l'isola di Kimolos era chiamata Echinoussa, per la grande quantità di ricci che Plinio narrava si trovassero nel mare intorno all'isola.
Il vento ci tiene impegnati più di ogni altra cosa.
Dobbiamo mettere in sicurezza tutte le cose che maneggiamo, altrimenti volano via. La sabbia sollevata dalle raffiche frusta le gambe e si infila dappertutto. In questa sosta forzata su Kimolos abbiamo l'ennesima riprova che tre sono le costanti dell'universo: la connessione qui è totalmente assente, le macchie riesco a farle anche su tovaglia e tovaglioli, praticamente ogni volta che mi siedo a mangiare, e dei capelli... lasciamo stare. Oltre ad essere ormai ingestibili, perché il vento li scompiglia e li intreccia, sono anche diventati un nido di rametti di tamerici, di foglie di posidonia e di un quintale di granelli di sabbia. Di lavarli neanche ci pensiamo. Qui fa talmente freddo che di bagni non se ne parla. Anche a stare al sole con la maglietta indosso non riusciamo a sentire caldo. Il vento abbassa non soltanto la temperatura reale ma soprattutto quella percepita: stanotte dormo col pigiama pesante, quello della versione autunnale, benché siamo solo al 19 di luglio.
Il vento ci impensierisce anche più di ogni altra cosa.
Saliamo sul promontorio per misurarlo con l'anemometro, visto che non abbiamo modo di ricevere previsione meteorologiche aggiornate: il Meltemi soffia imperterrito a 40 chilometri orari e le raffiche più forti superano i 50! Il mare lo osserviamo dall'alto: è tutto rigato di frangenti, con onde ben più alte di quelle del giorno precedente, quando abbiamo attraversato il canale tra Sifnos e Kimolos. Torniamo a misurare il vento nel pomeriggio e pure in serata. Ma non cambia nulla. Per tutta la giornata la nostra piccola baia protetta è spazzata da raffiche che nebulizzano l'acqua e che ad un certo punto cominciano anche a creare mulinelli.
La baia esterna è tutta in subbuglio e gli schiaffi del mare sulla costa provocano degli sbuffi così alti che temiamo di non poterci più muovere dalla nostra spiaggia 10 e lode.
Passiamo buona parte del tempo a fare e disfare programmi.
Abbiamo scorte di acqua e viveri sufficienti per altri due-tre giorni. Anche se il Meltemi non dovesse calare, come spesso succede, siamo sicuri di poter sopravvivere nel nostro piccolo angolo di paradiso. Tutt'al più, andiamo a piedi in paese a fare rifornimento. Ci interroghiamo invece sul percorso da seguire: secondo il programma originario elaborato da Mauro, dovremmo costeggiare Kimolos in senso antiorario e scendere sul versante occidentale prima di traversare su Milos, per poi terminare il periplo risalendo il versante orientale prima di raggiungere Poliegos. Ma col vento che imperterrito imperversa da nord forse è il caso di doppiare il capo settentrionale proprio quando è più battuto dal Meltemi. Pensiamo di procedere in senso orario, anche per potere fare spesa nel porto principale di Kimolos. Ma poi ci chiediamo se non valga la pena rispettare il primo piano ed affrontare le bizze del capo nord per raggiungere quelle sorgenti di acqua termale a cui pensiamo da giorni come ricompensa per gli sforzi sostenuti. Dopo qualche altro minuto di riflessione pensiamo di tornare al piano B e di scendere lungo la costa orientale per rimanere ridossati da onde e vento.
Alla fine capiamo che, per quanto ne parliamo, sarà il Meltemi ad avere l'ultima parola.
Ceniamo alle sette e mezza e andiamo a dormire che è ancora giorno.
Prima però dobbiamo sostituire uno dei paletti di alluminio della tenda che il Meltemi con una raffica ha spezzato. E' un chiaro segnale: dovremo restare ancora a lungo sulla spiaggia 10 e lode. E dobbiamo anche pensare di rinforzare la tenda per la notte: Mauro ha ideato il sistema dei "piedi" ed invece di piantare i soliti picchetti, che anche quando sono quelli lunghi per la sabbia finiscono sempre per saltare via, sistema ai quattro angoli due bacchette di vetroresina, ricavate dai vecchi paletti della tenda, e li fissa a terra con delle pietre. L'impresa è trovarle, le pietre pesanti, su quest'isola di origine vulcanica dove ci sono solo pomici e pietre friabili e leggere. Dobbiamo disfare una delle mie strutture di rock-balancing, ma è per una giusta causa e non mi oppongo.
E' una delle notti più lunghe del viaggio, con la luna piena che ci fa l'occhiolino tra le fronde ondeggianti delle tamerici. Il Meltemi, com'era prevedibile, non va a dormire.
L'uomo del vento |
Ormos Soufi: la nostra cala 10 e lode di Kimolos |
Castelli di sassi |
In cucina |
"Il Piede" |
"Il Piede" nella scarpa |
Una delle cave della costa orientale di Kimolos |
Una delle tre isolette Revmatonisia nei pressi di Psathi |
Spedizione felice |
La biblioteca di Chorio |
I ciottoli decorati del centro storico |
Serata rilassata |
Mercoledì 20 luglio 2016 - 27° giorno di viaggio
Ormos Vrouli - Psathi, Kimolos (11 km)
Vento N 27-32 nodi (F6-7) - Mare da molto mosso ad agitato, con onde di due metri frangenti - Temperatura di 26°C
Invece la mattina nasce tranquilla.
Alle otto il sole ci sveglia ed il mare sembra abbastanza pacificato.
Il Meltemi ha smesso di ululare tra le piante e non imbianca più la baia.
Decidiamo di andare.
Sono solo due chilometri al capo nord-orientale, quello sormontato dalle cave di perlite, bentonite e caolite che la guida definisce, insieme a quelle di Milos, come i principali centri di produzione e lavorazione dell'intera Unione Europea. Sono poi altri due chilometri alla baia ridossata di Prassa, nei pressi della quale sorgono altri bagni termali.
Prima che il Meltemi rinforzi, come solitamente fa intorno all'ora di pranzo, ci sbrighiamo a riassettare i kayak e ci mettiamo in mare. Un mare grosso, specie sul capo. Però navigabile, come dice subito Mauro. Proseguiamo. Le onde crescono insieme alla mia agitazione: quando salgo in kayak ed il kayak sale sulle onde, io mi sento tutta un fremito che dalla gola scende alla bocca dello stomaco prima di prendermi alle gambe. Allora inizio a parlare da sola, per tranquillizzarmi e per sentire a voce alta quello che mi sta succedendo attorno: è solo acqua che sale e acqua che scende. Solo che sale tanto e scende altrettanto. E spesso frange, anzi frange sempre e sul capo mi ritrovo a fare un appoggio a destra, poi uno a sinistra e poi ancora un terzo a destra. Le onde di ritorno, che di solito confondono la trama del mare, oggi qui la rimescolano al punto che non si capisce più granché. Mi allontano un po' per evitare di ballare ancora su quel tagatà e mi avvicino a Mauro, che come al suo solito pagaia sempre come se niente fosse. Avanziamo lentamente, ma senza altri contrattempi.
Poi però dobbiamo virare verso sud-ovest ed il mare che prima avevamo al traverso diventa al giardinetto, cioè ci raggiunge da dietro e ci solleva spesso le poppe. E allora io mi ritrovo ad appoggiare praticamente su ogni onda, anche quelle che non frangono ma che mi spingono così forte da farmi surfare su almeno tre o quattro onde consecutive. Poi arriva il momento cruciale: dobbiamo virare ancora verso sud e le onde ci arrivano di poppa piena. E io comincio a soffrire: non c'è niente da fare, il mare di poppa è da sempre quello che più mi infastidisce. Non è tanto il movimento delle onde, o il loro fragore, o la spinta che imprimono al kayak. E' invece il guardarle crescere alle mie spalle, salire oltre la linea dell'orizzonte e ancora più su, crescere ancora e ancora, prima di franare dietro le mie spalle, quando va bene, oppure sul mio pozzetto, e va ancora bene perché riesco sempre a fare un appoggio da manuale. Ma non va bene il fatto che se continuo a fare solo appoggi non vado da nessuna parte. Mauro mi guarda perplesso e mi aspetta. Io mi prometto di non guardare più all'indietro e restringo la sguardo soltanto davanti alla prua del Voyager. Mi concentro. Mi calmo. E mi diverto (quasi). Di più quando doppiamo finalmente l'ultimo capo e le onde diventano gestibili, sempre gonfiate dal vento ma meno imbizzarrite. Allora filiamo insieme fino al porto principale di Kimolos, passando di corsa lungo una costa bassa, bianca, rocciosa e costellata di calette per niente ridossate.
L'unico ridosso sicuro è proprio il porto di Psathi.
Sbarchiamo e cerchiamo la prima taverna. Mangiamo a quattro palmenti.
Poi controlliamo gli orari dell'autobus per la Chora, dove pare siano concentrati tutti i negozi di alimentari dell'isola. Saliamo in paese anche per un'altra incombenza, che non ci era mai capitato prima di assolvere in un viaggio in kayak: spedire a casa una scatola dei miei preziosi ritrovamenti (spugne, ricci e conchiglie varie...) L'accordo con Mauro è che posso raccogliere soltanto cose leggere, lasciando perdere i galleggianti, troppo numerosi. L'altro giorno però mi sono ritrovata a lasciare a terra almeno tre bottiglie d'acqua (vuote!) per far posto ai miei reperti e Mauro non ha mostrato di gradire la scelta. Così a Sifnos ho provato a spedirli, senza però rendermi conto che salivamo alla Chora di domenica, e la posta era rigorosamente chiusa. La troviamo chiusa anche qui a Kimolos, ma l'unico impiegato asserragliato a chiave dentro i due locali freschissimi ci apre e ci accontenta. Per una spesa ragionevole spedisco a casa la mia prima scatola!
Abbiamo tutto il tempo, prima che aprano i negozi (che qui rispettano lo strano ma comprensibile orario delle 18.00-22.00), di visitare la Chora di Kimolos, che qui si chiama Chorio, vale a dire "Il Paese". Se non hanno mostrato alcuna fantasia nella scelta del nome, gli abitanti del capoluogo, la quasi totalità dei 600 residenti dell'isola, hanno invece dimostrato di avere un gusto tutto particolare nell'abbellire i vicoletti pedonali del centro storico. Intorno al vecchio e dirupato castello medioevale, rovinato dalle numerose incursioni dei pirati, sorgono un pugno di case basse, tutte imbiancate a calce, ed un numero impressionante di chiese, sempre bianche. Siamo come al solito gli unici visitatori della Chora, in queste ore tra le più calde della giornata, ma noi non abbiamo ancora caldo, non nel vero senso della parola, forse perché ancora risentiamo degli sbuffi freddi del Meltemi. Girovaghiamo e ci perdiamo e ci ritroviamo. Scoviamo angolini davvero suggestivi, la biblioteca del paese ed alcuni negozi di prodotti artigianali in cui passerei l'intero pomeriggio. La cosa in assoluto più attrattiva di tutta la visita è stata la camminata sui viottoli di ciottoli dipinti di vernice bianca, in maniera sempre diversa e sempre creativa. Poi è tutto un profluvio di vasi colorati, di basilico profumato, di sottopassaggi ombreggiati, di tavolini all'aperto e signore anziane che attaccano bottone anche se non parlano inglese (e noi con crescente rammarico non parliamo greco: il nostro scarno vocabolario si è arricchito solo dei piatti da ordinare in taverna!)
Per tornare al porto saliamo di proposito sull'autobus sbagliato e facciamo una lunga visita della parte meridionale dell'isola lungo strade dissestate e polverose, mai asfaltate e tutte curve e dossi e passaggi impraticabili che però l'autista (che stavolta indossa dei sandali, osserva Mauro) affronta con estrema confidenza come fosse in autostrada.
Arriviamo sani e salvi a destinazione, scarichiamo la spesa ai kayak, perlustriamo il molo per scovare un posticino riparato e buio abbastanza per montare la tenda ed in attesa che scendano le tenebre ci rifugiamo nel più bel locale del lungo mare. Abbiamo mangiato talmente tanto a pranzo che ci rimpinziamo "solo" di dolci tradizionali e gelato artigianale.
La luna sorge dietro Poliegos e si fa strada tra gli alberi delle vele ormeggiate in porto.
Noi siamo contenti di avere riparato nel posto più riparato di tutta l'isola.
Il Meltemi non accenna ad andare a dormire neanche questa notte.
The Wind is so strong...hope everything goes back to normal... i follow you Good luck ...
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